Nico Gaitan ai tempi del Boca Juniors lo ha soprannominato El Chiqui, il ragazzino, e a sentirlo parlare adesso nessun soprannome sembra più azzeccato. Ezequiel Muñoz ha 31 anni, ma vive il calcio, il suo lavoro, con la passione di un 18enne all’esordio in Prima Squadra. Sensazioni ed emozioni che aveva smesso di sentire e che adesso è tornato a vivere.
“Sono tornato dopo un anno e otto mesi: questa per me è una rinascita”. Parla così a Gianlucadimarzio.com l’attuale difensore dell’Estudiantes de La Plata, primo nel Gruppo B della Copa de la Liga Profesional. “I miei genitori, la mia fidanzata e i miei amici mi sono stati vicino in questo periodo difficile. Negli scorsi mesi mi sono chiesto tante volte se fossi un giocatore finito o se sarei stato ancora in grado di continuare. Tutto dipende dalla testa e dalla fiducia che ricevi dal club. Tornare così bene, non è facile. Il calcio è una cosa bellissima, se potessi giocare fino a 60 anni lo farei”.
Con Los Pincharratas è stato amore a prima vista, con la standing ovation ricevuta al momento della sostituzione per crampi alla prima da titolare contro il Lanús: “Mi hanno detto che era molto difficile ricevere applausi dopo la prima partita, quindi non me l’aspettavo. Io però ero felice, non tanto per gli applausi, ma per essere tornato a giocare. Mi sono reso conto che la pandemia è il momento che assomiglia di più al post-ritiro per un atleta. E io adesso mi godo tutto questo”. Un nuovo inizio dopo un’esperienza negativa all’Independiente. “Un altro grande club, ma appena sono arrivato mi sono infortunato al ginocchio. Per me è stato un colpo durissimo perché di fatto non ho mai giocato, poi c’è stata la pandemia. Mi aspettavo quanto meno una chiamata alla fine della scorsa stagione, ma non c’è stata”.
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Qualche settimana da svincolato, diverse chiamate e tanti dubbi da parte dei club sul suo stato fisico. Poi è arrivato l’Estudiantes, che lo aveva cercato anche qualche anno prima. “Ho sentito Sánchez Miño prima di firmare e mi ha parlato benissimo del club, qui ho ritrovato Boselli che è stato mio ex compagno al Palermo e Andujar con cui ho giocato il derby di Sicilia”. Sei presenze e una sconfitta, di cui cinque da titolare in questo inizio di stagione per il classe 1990, tutte giocate ad alto livello. Un rendimento inaspettato per quello che doveva essere la prima alternativa della coppia centrale, che secondo Muñoz si può spiegare grazie a due abitudini. “Ho iniziato a praticare pilates a Genova, mentre da alcuni anni seguo la dieta di Giuliano Poser, lo stesso nutrizionista di Messi. Mi hanno cambiato la vita, nel modo di recuperare dopo ogni partita che è la cosa più importante per giocare ad alti livelli”. Una corretta alimentazione, ma senza rinunciare al sushi, di cui è diventato ghiotto. La cucina italiana, però, è quella che gli manca di più: “A Mondello mangiavo ottimo pesce. E poi mi manca la carbonara, qui la fanno troppo pesante”.
L’Italia è rimasta nel suo cuore. Sette anni divisi tra Palermo e Genova, dove ha vestito sia la maglia blucerchiata che quella rossoblù. “Ci sono tornato a dicembre a Milano per trascorrere 10 giorni con mia figlia che vive lì”. Un legame iniziato nel 2010, quando dal Boca Juniors si è trasferito in rosanero con l’etichetta del ‘nuovo Samuel’. Ma la sua esperienza in Italia sarebbe potuta iniziare in maglia viola. “Mi aveva preso la Fiorentina prima che mi infortunassi al ginocchio. C’era un precontratto, ma quando sono tornato in campo non ero allo stesso livello e la Fiorentina non mi ha più voluto. Avevano tutto il diritto di annullarlo, probabilmente non hanno visto quel giocatore che avevano visto prima”.
Appuntamento con l’Europa solo rimandato, con Walter Sabatini e l’allora braccio destro Ricky Massara pronti a cogliere l’occasione. Ma soprattutto Maurizio Zamparini. “Quando ho letto della sua morte non riuscivo a crederci. L’avrò sempre nel mio cuore. Lui, Sabatini e tutti quelli che hanno contribuito al trasferimento in Italia non li dimenticherò mai. Il Palermo come il Boca in Argentina mi hanno dato la possibilità per la prima volta di giocare in Serie A e io le origini non le dimentico”. Di Zamparini ha anche un aneddoto speciale: “Era il mio compleanno e mi aveva regalato un orologio bellissimo con lo stemma del Palermo, che conservo ancora con tanto affetto. Me lo aveva regalato quando c’era il problema del rinnovo, si parlava del Milan e lui me lo regalò anche per convincermi a rinnovare”.
Il mancato trasferimento ai rossoneri nel gennaio 2015 rimane un rimpianto: “Mi aveva chiamato Galliani ed era pronto un quadriennale, io non volevo rinnovare col Palermo, ma l’offerta del Milan non accontentava le richieste di Zamparini. Alla fine sono andato alla Samp, ma non era la stessa cosa”. Tuttavia, a distanza di anni c’è una decisione che non riprenderebbe. “Non mi pento di niente, ma potessi tornare indietro avrei rinnovato. Sono stato bene nelle altre squadre, ma Palermo la sentivo mia. Sono stato quattro anni e mezzo ed è la mia seconda città dopo Pergamino, dove sono nato”. Da Palermo a Genova sponda blucerchiata. “Non giocavo da un mese e mezzo per via del contratto e dopo 4 giorni dal mio arrivo, Sinisa mi schierò titolare, ma rimediai uno stiramento al flessore di secondo grado. Non ho giocato molto e anche per questo non si è sentito tanto quando a luglio ho firmato per il Genoa”. In rossoblù ci è rimasto tre stagioni, con 50 presenze all’attivo e ha ritrovato Gasperini. “Un allenatore che mi ha marcato tantissimo. Con lui in ogni allenamento vai al massimo. Ricordo che mi disse: “Togli il freno a mano e vai forte!”. E’ un allenatore che ti fa esprimere al massimo”.
Gasperini è stato uno dei dieci allenatori avuti anche in Sicilia. “Tutti ti lasciano qualcosa. Delio Rossi mi è stato molto vicino all’inizio. Ricordo che mi ha corretto anche la maniera di correre all’indietro. Quando sono arrivato in Italia pensavo di sapere tutto e invece non sapevo nulla della fase difensiva. Poi c’è Iachini, con cui abbiamo conquistato la promozione con 6 giornate di anticipo”.
Tanti allenatori, ma anche talenti. Da Pastore a Ilicic, fino a Miccoli, Vazquez e Dybala. “El Mudo non è esplosivo, ma è magia pura. La qualità di Miccoli era rimasta intatta, nonostante l’età. Javier ha fatto una carriera straordinaria e quando sono arrivato a Palermo mi ha aiutato a inserirmi perché era già qualcuno nonostante fosse giovane. Dybala è completo. A Paulito ho fatto da traduttore nella conferenza stampa di presentazione nel ritiro in Austria. Gli avevo detto di dare risposte corte, altrimenti me ne sarei dimenticato, ma lui faceva risposte di un minuto e io caso mai le accorciavo. In alcune ho detto quello che avrei detto io, perché non mi ricordavo tutto. Se ci ripenso rido, perché è un bell’aneddoto con un giocatore top e una grande persona”.
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Un’esperienza, quella in rosanero, macchiata da due date: 29 maggio 2011 e 12 maggio 2013. “La finale di Coppa Italia persa e la retrocessione. La sconfitta contro l’Inter mi ha fatto più male perché quando siamo retrocessi eravamo preparati. A Roma eravamo a un passo dalla gloria, ma purtroppo abbiamo perso con l’Inter del triplete. Io ho il rimpianto dell’espulsione per doppia ammonizione, ma segnai il gol del 2-1. Un gol che però non ricorderà nessuno. Se avessimo vinto ci avrebbero portato in carrozza a Palermo”.
Ricordi, gioie e dolori di una piazza che attualmente è sesta in Serie C e che sogna di tornare a calcare quei palcoscenici. Una rinascita, un po’ come quella che sta vivendo Muñoz. “Ho sempre detto che mi piacerebbe tornare. Vista l’età che ho, tra qualche anno se il Palermo fosse in Serie B mi piacerebbe tantissimo. Posso dare ancora qualcosa, mi sento nuovamente bene, di testa e fisicamente. Ora però il mio obiettivo principale è avere continuità all’Estudiantes, sogni e obiettivi arriveranno di conseguenza”. El Chiqui pensa al presente, ma non dimentica dove è stato bene.
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