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Dionisi, quando il padre marcò Maradona: “A mio figlio dissi: ‘Sei matto?”

Luca Dionisi è un padre piuttosto orgoglioso di suo figlio: “Sono un appassionato di calcio da sempre. Vederlo vincere prima con la Juve e poi col Milan è un’emozione inimmaginabile”, ci racconta. Già, perché il suo Alessio a quanto pare ci ha preso gusto: con il Sassuolo un mese fa era uscito trionfante dall’Allianz Stadium. Domenica si è ripetuto, questa volta contro Pioli:Di solito lo seguo sempre, ma a Torino non c’ero ed è andata bene. Per scaramanzia ho evitato pure San Siro. Ho organizzato un pranzo a casa insieme a otto amici. Un antipasto con prosciutto e pecorino, pici cacio e pepe come primo e infine lo stinco con le patate. Poi una bella bevuta e via, tutti sul divano”.

Ai gol di Scamacca e Berardi avrà esultato pure Coco, il Labrador di 14 mesi che da Luca non si stacca mai: “Mio figlio ha iniziato ad allenare nel 2014 in Serie D, all’Olginatese  – ricorda  – aveva 34 anni e lo rimproverai: ‘Ma che sei matto? Gioca finché puoi. Vuoi fare il precario a vita?’. Anche io ho allenato fino all’Eccellenza e sapevo quanto fosse difficile farlo nelle serie minori. Tanti esoneri, spesso non ti pagano. Ma lui insisteva: ‘Babbo, voglio farlo. Me lo sento dentro’. Se sei contento così… gli dissi. Mai lo avrei immaginato dove è ora”.

Luca, il primo a marcare Maradona

Così come il 2 agosto 1984, probabilmente, mai lo avrebbe immaginato in panchina contro il Napoli. Succederà mercoledì, dall’altra parte gli azzurri primi in classifica che sognano di tornare grandi come con Maradona. A proposito, Luca è stato il primo in Italia a marcare Diego. Succedeva proprio 37 anni fa

Giocavo nella Neania Castel del Piano, ogni estate sul Monte Amiata venivano in ritiro le grandi della Serie A e noi le affrontavamo in amichevole. Dal Cagliari di Fonseca all’Inter. Dalla Lazio di Laudrup al primo Napoli di Maradona. Perdemmo 13 a 1, da terzino dovevo marcare Diego che ovviamente ne fece 4: ‘Ma che ci fai in prima categoria?’ mi chiese comunque a fine partita. Non me la cavavo male, non buttavo mai via la palla, la giocavo sempre. Ero un difensore moderno. In risposta presi un pennarello e mi feci autografare il braccio. Non me lo lavai per due settimane”, sorride. In tribuna c’era anche il figlio Alessio insieme alla madre: “Aveva quattro anni. Il primo regalo che gli feci fu un paio di scarpe da calcio, gliele avevo promesse. Non se le tolse mai, per tre giorni e per tre notti. Quando finalmente lo convinsi, aveva i piedi pieni di vesciche”.

L’amore per Giorgia e il dolore per la madre

Oggi Dionisi è il terzo allenatore più giovane della Serie A. Appena ha un momento libero corre dalla moglie e dalla figlia Giorgia, una splendida tredicenne che l’aspetta trepidante nel loro paese sul Lago di Varese: “Sente di starla trascurando, ma per lui in realtà è la cosa più importante. Per questo quando può corre da lei”, ci dice Luca: “Su quale panchina lo vorrei vedere? Non penso mai al futuro. Non lo faccio da quando è morta mia moglie. Ci ha salutato dopo aver lottato contro il cancro. Abbiamo sofferto tanto, ora guardo la vita in maniera diversa. Prima guidavo un’azienda importante e ragionavo sempre sul domani. Adesso vivo alla giornata, godendomi le persone a cui voglio bene. Perché so che oggi ci sono. Domani chissà”. Da suo figlio, intanto, lo separano qualche chilometro e anche un po’ di scaramanzia: “Se con il Napoli sarò allo stadio? Beh, non saprei. Alla fine non c’è due senza tre…”.

Simone Golia

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