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Bologna, capitale mondiale del gol olimpico: due squadre diverse in rete dalla bandierina. Storia di un colpo magico, da Onzari a Pulgar

La traiettoria a rientrare. Il portiere sorpreso da una balistica irriverente, la palla in fondo alla rete. Succede raramente di segnare dalla bandierina, quasi impossibile che succeda due volte nella stessa partita. Per questo, il primo tempo di Bologna-Fiorentina passerà alla storia. Avviene tutto in meno di 200 secondi. Prima il vantaggio ospite con la parabola beffarda di Jordan Veretout: il suo angolo calciato dal lato destro punta il secondo palo, sbatte su quello opposto, su Mirante e si insacca. Tre minuti dopo, nell’altra metà campo, Erick Pulgar mette in area un corner velenoso sul primo palo. Sportiello è in ritardo, prova a recuperare la posizione ma riesce solo a smanacciare quando la palla è già dentro. Mai visto prima: due reti olimpiche messe a segno da due squadre diverse nello stesso incontro.

Chissà quanto riderà dal cielo l’argentino Cesareo Onzari. Nel 1924 fu il primo a segnare dalla bandierina. Realizzò questa prodezza in un’amichevole contro l’Uruguay campione olimpico poche settimane prima a Parigi. Per questo il gol da calcio d’angolo si chiama così. Un evento sempre più raro, in un calcio che oggi privilegia battitori con i piedi invertiti per sfruttare la fisicità nella mischia. La zuccata al posto della parabola diabolica.

Eppure c’è chi, dalla bandierina, ci ha costruito una leggenda. A Catanzaro, a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, Massimo Palanca sfruttava il vento e il suo 37 di piede per beffare i portieri avversari. Ci riuscì 13 volte: nessuno in Italia ha mai fatto meglio di lui. “È come una punizione dal limite dell’area, devi solo beccare la porta”, ha detto poche settimane fa ai nostri microfoni il funambolo marchigiano. Il suo mancino era un marchio di fabbrica e una speranza concreta a cui aggrapparsi sempre. La stessa a cui si aggrappavano nella stagione ‘82/83 i tifosi dell’Iraklis Salonicco quando il loro idolo, Vassilis Hitzpanagis, andava alla bandierina. Speranze ripagate per sette volte in un solo campionato: anche questo un record.

Un gesto tecnico naif, ammantato di una magia tipicamente sudamericana. Loro l’hanno inventato, loro lo hanno continuato a praticare. Soprattutto in Colombia, terra di Gabriel Garcia Marquez e del suo ‘realismo magico’, ma anche di James Rodriguez. Nel gennaio 2004, realizzò una doppietta da corner nella finale del Pony Futbol, il più importante torneo giovanile nazionale. Aveva 12 anni e vestiva la maglia dell’Academia Tolimense.

Chissà se aveva sentito parlare di Marcos Coll, suo connazionale che nel mondiale cileno del ’62 segnò l’unico gol olimpico della Coppa del Mondo. E a subirlo non fu uno qualunque: Lev Jascin, unico numero uno di sempre a vincere il Pallone d’Oro.

Quel giorno, il piccolo James replicò la magia di Juan Alberto “Cococho” Alvarez, autore di una doppietta ‘olimpica’ nel 1976 con la maglia del Deportivo Cali contro il Cucuta. Uno specialista, che aveva da vincere anche una competizione interna. In quel Cali c’era anche Angel Maria Torres che sapeva incantare i portieri calla bandierina. E infatti in una gara di Libertadores del 1979, successe l’incredibile: Alvarez e Torres a segno nella stessa gara. 3-2 al Quilmes e ingresso nella storia.

Eventi speciali, inusuali e miracolosi. Come quello di Charlie Tully, nordirlandese del Celtic Glasgow che nel ’53 segnò dal corner in semifinale di Coppa di Scozia. Inutile, perché l’arbitro annullò: il pallone era fuori dalla lunetta. Angolo da ribattere. Nessun problema per Tully. Stessa traiettoria, gol buono.

Clamoroso, ma forse neanche lui poteva competere col tedesco Bernd Nickel, icona dell’Eintracht Francoforte negli anni ’70. Il suo palcoscenico era il Waldstadion e lì dentro riuscì a battezzare, tutte e quattro gli angoli del campo. Sempre col suo sinistro, a volte a rientrare, altre con l’esterno. Una sorta di trivela ante litteram rimasta nella storia del calcio tedesco. Anche il leggendario Sepp Maier dovette piegarsi al suo furore balistico. Ah, per la cronaca, quel giorno il Bayern Monaco uscì dal Waldstadion con il cappotto: 6-0 e mesto ritorno in Baviera.

Succedeva spesso in passato, meno nel calcio moderno, anche se Ronaldinho, Baggio, Beckham e il Papu Gomez hanno scritto il loro nome in un club esclusivo, capeggiato da un gigante turco di quasi due metri che in pochi ricordano. Si chiamava Sükrü Gülesin, giocava nel Besiktas e negli anni ’50 giocò anche in Italia, prima a Palermo, poi alla Lazio. Fisico da bulldozer, piede incantato: 32 gol in carriera dalla bandierina. Aveva iniziato la sua carriera come portiere e questo lo aiutava a capire come rendere loro la vita impossibile sui calci d’angolo. Perfezionò la sua tecnica con Giuseppe Meazza, suo allenatore in Turchia. Col suo piedone, fu il più grande di tutti. Oggi Sükrü verrebbe mandato a saltare in area. Ma forse dopo quei 200 secondi bolognesi, il vento girerà. A rientrare, ovviamente.