Bologna, capitale mondiale del gol olimpico: due squadre diverse in rete dalla bandierina. Storia di un colpo magico, da Onzari a Pulgar
Claudio Giambene 4 Febbraio 2018Un gesto tecnico naif, ammantato di una magia tipicamente sudamericana. Loro l’hanno inventato, loro lo hanno continuato a praticare. Soprattutto in Colombia, terra di Gabriel Garcia Marquez e del suo ‘realismo magico’, ma anche di James Rodriguez. Nel gennaio 2004, realizzò una doppietta da corner nella finale del Pony Futbol, il più importante torneo giovanile nazionale. Aveva 12 anni e vestiva la maglia dell’Academia Tolimense.
Chissà se aveva sentito parlare di Marcos Coll, suo connazionale che nel mondiale cileno del ’62 segnò l’unico gol olimpico della Coppa del Mondo. E a subirlo non fu uno qualunque: Lev Jascin, unico numero uno di sempre a vincere il Pallone d’Oro.
Quel giorno, il piccolo James replicò la magia di Juan Alberto “Cococho” Alvarez, autore di una doppietta ‘olimpica’ nel 1976 con la maglia del Deportivo Cali contro il Cucuta. Uno specialista, che aveva da vincere anche una competizione interna. In quel Cali c’era anche Angel Maria Torres che sapeva incantare i portieri calla bandierina. E infatti in una gara di Libertadores del 1979, successe l’incredibile: Alvarez e Torres a segno nella stessa gara. 3-2 al Quilmes e ingresso nella storia.
Eventi speciali, inusuali e miracolosi. Come quello di Charlie Tully, nordirlandese del Celtic Glasgow che nel ’53 segnò dal corner in semifinale di Coppa di Scozia. Inutile, perché l’arbitro annullò: il pallone era fuori dalla lunetta. Angolo da ribattere. Nessun problema per Tully. Stessa traiettoria, gol buono.
Clamoroso, ma forse neanche lui poteva competere col tedesco Bernd Nickel, icona dell’Eintracht Francoforte negli anni ’70. Il suo palcoscenico era il Waldstadion e lì dentro riuscì a battezzare, tutte e quattro gli angoli del campo. Sempre col suo sinistro, a volte a rientrare, altre con l’esterno. Una sorta di trivela ante litteram rimasta nella storia del calcio tedesco. Anche il leggendario Sepp Maier dovette piegarsi al suo furore balistico. Ah, per la cronaca, quel giorno il Bayern Monaco uscì dal Waldstadion con il cappotto: 6-0 e mesto ritorno in Baviera.
Succedeva spesso in passato, meno nel calcio moderno, anche se Ronaldinho, Baggio, Beckham e il Papu Gomez hanno scritto il loro nome in un club esclusivo, capeggiato da un gigante turco di quasi due metri che in pochi ricordano. Si chiamava Sükrü Gülesin, giocava nel Besiktas e negli anni ’50 giocò anche in Italia, prima a Palermo, poi alla Lazio. Fisico da bulldozer, piede incantato: 32 gol in carriera dalla bandierina. Aveva iniziato la sua carriera come portiere e questo lo aiutava a capire come rendere loro la vita impossibile sui calci d’angolo. Perfezionò la sua tecnica con Giuseppe Meazza, suo allenatore in Turchia. Col suo piedone, fu il più grande di tutti. Oggi Sükrü verrebbe mandato a saltare in area. Ma forse dopo quei 200 secondi bolognesi, il vento girerà. A rientrare, ovviamente.