“Qué manera de vencer, qué manera de vivir”, canta Joaquín Sabina nel suo inno all’amore per l’Atlético Madrid. Che modi sono, effettivamente, viene da dire. Sfiorare il disastro e vincere negli ultimi istanti della partita due volte in pochi giorni – prima il Valencia (3-2), sabato il Getafe (4-3). È il modo di vivere, in parte, dell’Atlético Madrid e del Cholo Simeone: “Coraggio” e “Cuore”, le due parole scritte sul tunnel del Wanda Metropolitano, fino all’ultimo respiro.
È il suo modo di vivere, ma, di nuovo, in parte. Perché quest’anno Coraggio e Cuore sembrano davvero essere le ultime gocce di cholismo rimaste nelle vene dei colchoneros. Infatti, si fa fatica a pensare che la vittoria con il modesto Getafe possa segnare la fine della crisi atletica. I problemi c’erano prima e rimarranno anche domani. E sono tanti, troppi, quelli di un macchina che ha perso il controllo di ogni suo ingranaggio. Nell’Atlético, al di fuori della tempra, non funziona più nulla: la squadra è fragile, disunita, il gioco inconsistente. Solo Correa, il suo Angel custode, e due-tre compagni stanno mandando avanti l’auto a spinta. Ma non basta, visto che il campione in carica di Liga ad oggi sarebbe fuori dalla Champions.
Problemi. A proposito, se qualcuno, per esempio “João Félix sa quale sia il problema, dovrebbe dirlo”. Lo ha detto pochi giorni fa Simeone, forse per difendere la squadra, forse per ammettere di non sapere cosa sia successo alla sua creatura, che ha perso buona parte di ciò che la rendeva sua a 10 anni dall’inizio del suo mandato. Il riferimento era ad una recente intervista a The Athletic, in cui João Félix aveva detto al giornalista di sapere quale fosse il male che ha colpito l’Atleti, ma di non poterlo dire pubblicamente. I proverbiali panni sporchi, da troppo tempo in attesa di essere lavati.
Una tesi l’aveva avanzata settimane fa Josema Giménez, che con grande onestà aveva svelato come il gruppo si fosse rilassato, inebriato dai festeggiamenti dell’ultima Liga e dai complimenti di chi diceva che questa fosse la miglior rosa addirittura della storia dell’Atleti. Ma anche dopo gravi sconfitte e sparuti lampi di speranza (come la vittoria col Getafe) nulla è migliorato, lasciando pensare che, forse, la patologia dei rojiblancos sia più radicata di quanto ci si immagini, e la semplice accettazione non la risolverà.
Tornando a Simeone, lui una causa all’assenza di gioco, coesione e risultati non l’ha trovata, almeno pubblicamente. Uno degli effetti, però, sì, e lo ha esposto con brutale precisione: “ogni tiro in porta è un gol”. Non serviva grande acume, eppure è proprio la fragilità difensiva la caratteristica più incomprensibile di una squadra che della solidità aveva fatto uno dei grandi manifesti della sua identità.
L’Atlético non è mai padrone di quello che accade nel campo. Come sabato, quando nel primo tempo era subito avanti 2-0 in casa e in un battito di ciglia si è ritrovato sotto 3-2. Lì non è mai stata più accurata l’espressione di Simeone: il Getafe ha tirato quattro volte in porta e ha segnato tre gol. Il caso, evidentemente, non è isolato. Basta risalire agli ultimi sei risultati dei colchoneros: 4-3, 2-4, 3-2, 0-2, 1-2, 2-2 in tutte le competizioni.
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La squadra di Simeone stacca la spina nelle situazioni difensive (non a caso subisce particolarmente da palla inattiva, cosa mai successa prima) e, come se non bastasse, anche l’estremo difensore Jan Oblak ha smesso coi miracoli a cui aveva da sempre abituato la tifoseria. Il portiere sloveno non è mai stato così inefficace: quest’anno para soltanto il 44% dei tiri diretti verso la porta (dati fbref), mentre nella scorsa Liga, quella vinta dall’Atlético, il dato arrivava all’80% (si aggira su questi valori Courtois, collega del Real Madrid, primo in classifica). Questo significa che in realtà non subisce un gol ad ogni tiro in porta, ma ad ogni due sì. Ed è comunque tantissimo.
Anche gli Expected Goals a sfavore parlano male delle sue prestazioni, al netto delle amnesie dei suoi difensori. Questa misura statistica evidenzia quanti gol avrebbe dovuto incassare in relazione alle occasioni ricevute, a cui si assegna un valore fra 0 e 1 a seconda della probabilità media di realizzazione in situazioni analoghe. Secondo l’algoritmo, Oblak avrebbe dovuto incassare circa 20 gol. Escludendo gli autogol, invece, ne ha subito 10 in più rispetto a quanto predetto dalle statistiche — che lasciano il tempo che trovano, ma nessuno in Liga ha fatto peggio di lui. Lo sloveno, estremizzando, sta parando come para un portiere in zona retrocessione.
Più dati: in 23 partite, l’Atleti ha mantenuto la porta inviolata solo sei volte, come le tre neopromosse (Rayo, Maiorca, Espanyol). In totale, ha già subito 33 gol, la cifra più alta di un decennio di gestione Simeone con un terzo delle partite ancora da giocare. Nel primo anno (12/13) erano stati 31, lo scorso 25, mentre il dato più basso è stato raggiunto nella 15/16, con solo 18 reti concessi. Dove sia finito quell’Atlético resta un mistero.
Dove sia finito il cholismo è un altro mistero, ma più facilmente risolvibile. Serve un piccolo investimento: prendere un aereo per Madrid, staccare un biglietto per il Wanda, sedersi e ascoltare. Anche nell’anno peggiore, anche di fronte all’Atlético di Madrid meno cholista di sempre, allo spettro di una Champions da guardare da casa, non c’è nome che scaldi più il popolo colchonero di quello di Simeone. Spontaneamente, improvvisamente, mentre tutto va a farsi benedire, le masse biancorosse si alzano all’unisono per gridare “Ole, ole, ole, Cholo Simeone”, brandendo sciarpe con la sua faccia stampata sopra, e lo stadio prende vita. Il cholismo, che apparentemente non si vede più, è più vivo che mai. “Coraggio” e “Cuore”, c’è scritto nel tunnel, per amarsi anche quando le cose vanno male.
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