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Data: 29/05/2017 -

Roma, non dimentichiamoci di... Dzeko. 39 gol in stagione e rinascita: analisi di una metamorfosi

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Dalla leggenda alla realtà, a ciò che rimane. Al di là del #TottiDay: ciò che ha trasmesso è impossibile da raccontare, figuriamoci da scrivere. Bisognava viverlo. Stop. Ma cambiamo discorso e parliamo di ciò che resta e che ieri per forza di cose è passato in secondo piano: il secondo posto della Roma. La Champions League diretta. Il ventinovesimo gol di Dzeko in Serie A, trentanovesimo stagionale. Avete capito bene, TRENTANOVE. Perché al di là della vicenda Totti, il vero protagonista della stagione giallorossa è stato proprio il bosniaco. Altro che Edin ‘Cieco’: Dzeko ci vede benissimo. Per buona pace delle prese in giro sui social, ma soprattutto per i tifosi romanisti. È rinato, è diventato il capocannoniere della Serie A ed il miglior marcatore della storia della Roma per gol realizzati in una stagione. Piccola precisazione: avrebbe potuto segnarne anche di più ma... vabbé, che gli si può dire? Staremmo parlando forse di un extraterrestre. Questa metamorfosi però non è stata affatto un caso. Tutt’altro. È stata cercata, voluta. È passata attraverso quattro aspetti:

  • CAPARBIETÀ – Pensavate davvero che Dzeko avrebbe potuto salutare la Roma dopo una prima stagione giallorossa così deludente? Risposta negativa. Chi lo conosce lo sa: è de coccio, tanto per rimanere in tema. È rimasto ed ha lottato allenandosi duramente per dimostrare finalmente tutte le proprie qualità. “Sarebbe stato più semplice andare via, ma sono voluto restare con la speranza di confermare le mie qualità e ce l’ho fatta. Le critiche c’erano, ma erano giuste e mi hanno fortificato. Ce l’ha fatta. I suoi sforzi sono stati ripagati. Ma d’altronde per chi è cresciuto in mezzo alla guerra le difficoltà della vita sono ben altre. E vanno al di là del calcio. “Mio padre era al fronte e tutti i giorni, quando suonavano le sirene, avevo paura di morire. A me come a tanti bambini hanno rubato l'infanzia, è stato il periodo più brutto della mia vita - aveva rivelato in un'intervista rilasciata a La Gazzetta dello Sport -. A Sarajevo vivevamo in 15 in 37 metri quadrati. Ci svegliavamo a volte senza avere quasi nulla per fare colazione e andavamo nei rifugi senza sapere mai quanto tempo dovevamo restarci. Certe esperienze rendono più forti e fanno apprezzare la vita nei momenti giusti. Quando hai avuto paura per la tua vita e quella dei tuoi familiari, i problemi del calcio sono niente al confronto. Non ho segnato? Fa niente, segnerò alla prossima partita. Le cose importanti sono altre".
  • ADATTAMENTO – Forse sì, era solamente una questione di adattamento. Dzeko aveva bisogno di ambientarsi a Roma. Che per dirla tutta in alcuni aspetti gli è sembrata simile a Sarajevo dopo i bombardamenti, per quanto riguarda le strade! Si vede che è una città in difficoltà, in crisi. Bisogna investire sulle strade, non si possono abbandonare così. Girare per Roma non è facile...”. Tra l’altro, storicamente, le prime stagioni di Dzeko in una nuova squadra non sono mai state un granché (9 reti con il Wolfsburg, 6 con il City). Familiarizzare sempre più con l’ambiente che ci circonda invece spesso fa la differenza. E così è stato per Dzeko. Ho cambiato metodi di allenamento, città e stile di gioco, avevo bisogno di un periodo di adattamento. Ogni campionato è diverso e In Italia ho incontrato un diverso tipo di difesa. Ora mi sento a casa e il rapporto è fantastico”.
  • SPALLETTI – Che sia amato o criticato da Roma e dai romanisti è un argomento che ora non ci tocca. Fatto sta che il lavoro di Spalletti è stato fondamentale per la rinascita di Dzeko. Ha avuto la bravura di toccare i tasti giusti con lui. L’ha motivato, l’ha preso più volte da parte, l’ha talvolta anche bacchettato ma sempre nell’interesse comune. Ricordate quando diceva che Dzeko era ‘molle’? So che giocatore è Edin: ogni tanto è un giocatore molle, io glielo dico. Se gli capitano quattro palle gol, deve buttarne dentro cinque; se ne butta dentro solo due, significa che pecca di cattiveria", aveva affermato l’allenatore toscano. Ora possiamo dirlo: col bosniaco la cura Spalletti ha sortito gli effetti sperati: basta guardare i numeri. Anche se forse l’ex City potrebbe fare ancora un ulteriore piccolo salto di qualità in quanto a cattiveria sportiva. E lui lo sa.
  • FIDUCIA Non prendiamoci in giro: per un attaccante il gol è tutto. Tutto. Forse per Dzeko ancora di più: aveva bisogno di segnare per ingranare e per farsi amare dai propri tifosi. Farne così tanti e con questa continuità poi, non può che avergli giovato sotto l’aspetto della fiducia. Ritrovata e mai più persa. “Io sono così, ho sempre creduto in me stesso. Per me il gol è tutto, quando segno le sensazioni sono incredibili. Il gol è la mia vita”. Insieme a mamma Belma, papà Midhat, alla sorella Merima ma soprattutto alla compagna Amra ed alla figlia figlia Una: insomma, a chi ha sempre creduto in lui.

“Ora mi sento bene e posso dire che il vero Dzeko è quello di quest’anno”. Caro Edin, non c’erano dubbi. E, anche se ieri sono passati in secondo piano, i suoi gol hanno trascinato la Roma al secondo posto. Hanno avuto forse addirittura il potere di alleviare, seppur parzialmente, il sentimento di sconforto che da ieri attanaglia i romanisti. Rappresentano la realtà, una base da cui ripartire per il futuro. Quel futuro giallorosso da vivere per la prima volta dopo 25 anni senza chi è entrato definitivamente a far parte della leggenda.



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