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Data: 17/09/2016 -

Perugia-Ternana, quel derby dal finale surreale che unisce le tifoserie nell'applauso per Osvaldo

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Doveva essere un derby, soltanto un derby. Quell'esplosione di colori e tifo che ti illumina gli occhi e ti fa capire che non importa che tu sia a Manchester, Madrid, Milano o in Umbria: la rivalità, fin quando non si trasforma in violenza, è ancora il sale del calcio. Perugia-Ternana poteva essere il derby dei debuttanti e delle prime volte, lo era per Bucchi e Carbone sulle due panchine, lo era per tanti giovanissimi in campo. Zebli e Di Nolfo (con papà e fratelli in tribuna) nel Perugia, Germoni, Di Livio, Petriccione e La Gumina nella Ternana. Poteva essere il derby dei ragazzini, e invece a sbloccarlo era stato uno che ragazzino non lo è più. Quel Rolando Bianchi che, a 33 anni suonati, si fa 100 metri di corsa per esultare sotto la curva del Perugia. In quei 100 metri, rapidi eppure così infiniti, avrà rivisto tutta la sua estate, forse la più difficile della sua carriera. Sul mercato, perché fuori dal progetto tecnico. Alla fine è rimasto, chissà che quel lungo urlo, da un lato all’altro del Curi, non possa segnare il nuovo inizio della sua storia con il Perugia. Anche Cesar Falletti era sul mercato, ma tutt’altro che fuori dal progetto tecnico. Centralissimo in questa Ternana come in quella dell’anno scorso. Ci avevano provato Crotone prima ed Empoli poi, alla fine è rimasto anche lui. Quell’urlo che lo porta ad abbracciare i suoi compagni e Carbone in panchina, dopo il gol che riacciuffa il Perugia, fa capire che anche l’estate della Ternana non deve essere stata poi così facile.

Doveva essere soltanto un derby, un bellissimo derby. E lo è stato fino al 41’ del secondo tempo. Poi il cronometro si è fermato, e i secondi sui tabelloni del Curi hanno smesso di scorrere. Pochi minuti prima, sugli spalti della Gradinata del Perugia, si era fermato il cuore di Osvaldo. Sessantadue anni, ancora troppi pochi per andarsene. Abbonato da anni, dai tempi di Gaucci. Dicono fosse diventato addirittura suo amico, ne parlano tutti benissimo. Rappresentante di mestiere, perugino di passione. Gli ultimi lunghi battiti davanti alla passione di sempre, nella partita più importante dell’anno. I primi tentativi di rianimazione li aveva sostenuti un lungo applauso, un battito di mani assordante e surreale che aveva unito il Curi. Perugia e Ternana non erano state mai così vicine, unite anche quando - insieme - due piccole rappresentanze delle due tifoserie sono scese in campo con gli steward per rimuovere striscioni e drappelli. Così, non si può più tifare. E forse neppure giocare.

I tifosi si sbracciano, in campo restano tutti fermi. “Basta, basta!”, gridano da ogni settore del Curi. L’arbitro consulta le due squadre, la Questura decide che sì, si può continuare. Non ci sono motivi di sicurezza per rimandare la gara, e forse è stata la decisione migliore. Tornare un altro giorno per giocare quattro, inutili minuti non avrebbe avuto senso. Un altro applauso, a tifoserie unite, spinge i medici che, sugli spalti, provano a rianimare Osvaldo. Al Curi si è precipitata la moglie, in Curva Nord c’è anche il figlio ad applaudire, probabilmente senza sapere che quell’applauso si stava trasformando nell’ultimo saluto al padre. Si ricomincia a giocare, ma come fai in un contesto così. Surreale, assurdo, triste. Vuoto. Gli applausi diventano fischi di incomprensione, ai giocatori però basta uno sguardo per capire la cosa migliore da fare: aspettare. Aspettare quegli ultimi infiniti 4 minuti tutti insieme. Senza striscioni, senza bandiere. Senza Perugia e senza Ternana. Senza agonismo. Semplicemente passandosi un pallone che ormai non serviva più. Finisce così, 1-1. Senza sorrisi, senza festa. Dopo i fischi, il derby diventa una lunga agonia. Oltre 30 minuti di massaggio cardiaco, l’attesa per l’ufficialità di una notizia che tutti hanno già capito ma che nessuno ha il coraggio di dare. E che alla fine arriva. Nessuno saprà mai se l’ultimo urlo Osvaldo lo ha tirato per il gol di Bianchi o per la rabbia al pareggio di Falletti. La speranza è che abbia potuto ascoltare almeno un secondo di quel surreale, assurdo, bellissimo applauso che ha unito due città che si guardano male da sempre. A ricordare che la rivalità è il sale del calcio sì, ma il rispetto, per la vita e per chi l’ha persa, è il sale dell’umanità.



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