Nico Otamendi, il pugile del City che ha messo k.o. Mou e la Premier
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Data: 11/12/2017 -

Nico Otamendi, il pugile del City che ha messo k.o. Mou e la Premier

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Un gol pesante come un gancio sul volto di Mou. E le speranze dello Special One di ambire alla Premier messe praticamente k.o. -11 dopo 16 match giocati: un abisso tra la prima e la seconda. Tra le due cugine di Manchester. Merito della rete segnata al 54’ da quel Nico Otamendi che con la boxe una certa familiarità in realtà ce l’ha. “Ho passato due anni ad allenarmi con la boxe senza però mai combattere. Mi è servito per tenermi in forma e bruciare calorie, anche mio cugino e i miei fratelli l'hanno praticata in passato. Diciamo che il calcio è la mia professione e la boxe il mio hobby. A casa ho il sacco che uso ogni tanto per scaricarmi”. Lui stesso che da piccolino era stato colpito duramente dalla vita. Un’infanzia non certo agiata, ma contraddistinta da stenti e sacrifici. Ultimo di 4 fratelli e con i genitori separati, ha dovuto far i conti con la povertà fin da piccolissimo. Il calcio si è rivelato una vera e propria ancora di salvezza quando l’opportunità della vita è arrivata così, quasi per caso. A 7 anni accompagnai il figlio di Betty, un’amica di famiglia, a sostenere un provino col Vélez. Finii per giocare con altri bambini su un campetto di calcio a 5 situato nei pressi della tribuna dello stadio Amalfitani attirando l’attenzione degli addetti ai lavori. Appena mi videro, mi proposero di entrare in squadra”. Otamendi ci pensò meno di un millesimo di secondo prima di accettare. Mamma Silvia però inizialmente fu titubante. “Mia madre non voleva che giocassi perché eravamo una famiglia molto umile e non poteva permettersi di spendere i soldi per il calcio. Fortunatamente ho una famiglia molto unita in cui i miei fratelli hanno iniziato a lavorare sin da giovanissimi e, insieme a mio padre, hanno contribuito affinchè potessi realizzare il mio sogno”. Mamma Silvia da quel momento cominciò la propria collezione personale di ritagli di giornali dedicati al figlio, riposti in un album speciale che tutt’oggi conserva e amplia periodicamente. Decise di non volersi perdere dal vivo nemmeno una partita di Nico - tanto che "lei sa di più sul calcio di me", parola del figlio -, almeno fino a quando l’argentino compì circa 12 anni e le spese per seguirlo divennero insostenibili. Dal barrio La Paloma di Talar de Pacheco, zona popolare di Buenos Aires dove viveva con mamma Silvia e i fratelli, il classe '88 ogni giorno per raggiungere il centro sportivo del Vélez doveva prendere 3 bus: “Il 721 in Panamericana, poi il 197; 15, 60 o 21 a Puente Boulogne e infine il 57 a Camino del Buen Ayre e Martín Fierro. Da lì poi dieci isolati a piedi”. Sacrifici ripagati col tempo con gli interessi ma senza mai dimenticare le proprie origini: "Ringrazio la mia famiglia ogni giorno per avermi permesso di tagliare certi traguardi. Il mio primo stipendio importante lo spesi per comprare una casa nuova a mia madre. Dedico a lei e a tutta la mia famiglia ogni mio risultato in carriera”. Anche se ciò che spinse Otamendi a guardare sempre oltre le difficoltà fu “la nascita di mia figlia Morena quando ero appena 19enne. Volevo arrivare in alto per poterle assicurare un’infanzia diversa dalla mia”. Grazie alla sua perseveranza quel ragazzino con Ayala come idolo ne ha fatta di strada. “Per me è un orgoglio essere paragonato a lui. Non vi dico l’agitazione che mi pervase quando mi chiamò per convincermi ad andare al Valencia…”. E non solo nel look da vero guerriero: “La barba e i tatuaggi mi aiutano ad avere un’immagine più aggressiva. Il primo tatuaggio lo feci a 14 anni e hanno tutti un significato per me: mio fratello, i miei figli, mio nonno…”. É diventato sempre più leader grazie all'esperienza accumulata con ciascuna delle 5 maglie vestite in carriera: Vélez, Porto, Atletico Mineiro, Valencia ed infine quella attuale del City. Convocato per la prima volta nell’albiceleste appena 21enne da un certo Maradona in occasione di un’amichevole contro il Panama, quando le partite da professionista disputate in carriera erano appena 11. Ora è un difensore top in Europa ed imprescindibile nel dream team di Guardiola, anche se un piccolo difetto ce l’avrebbe… “Devo migliorare con l’Inglese: questo mese Pep mi sottopone ad un test”. A parlare per lui però per fortuna è il campo: 15 presenze e 4 gol messi a segno in questa Premier. L’ultimo proprio oggi, nel derby contro Mourinho. Una rete pesante come un gancio, che ha permesso a quel ragazzo partito da La Paloma di Talar de Pacheco di consegnare metaforicamente la Premier al suo City.



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