Parte la sigla di Tutto il calcio minuto per minuto. Filippo Corsini scorre frettolosamente l’elenco delle partite con gli annessi radiocronisti. Comincia il giro di collegamenti dai campi, che inizia quasi sempre da Riccardo Cucchi. Panoramica dello stadio, spiegamenti tattici, lettura delle formazioni e poi il primo fischio dell’arbitro, che dà il via ai novanta minuti più attesi della settimana. Domani, per Cucchi, Inter-Empoli sarà l’ultima radiocronaca per Rai Radio 1.
“Sono sereno, sapevo che sarebbe arrivato questo momento: il 31 agosto compirò 65 anni. Non provo alcuna sensazione particolare. Non diversamente dalle altre radiocronache, intendo. Perché per emozionare gli ascoltatori, bisogna prima emozionarsi” esordisce ai microfoni di gianlucadimarzio.com. Alla notizia del suo ritiro, le manifestazioni d’affetto dal web e dai social network l’hanno sommerso: “Non ho mai cercato la ribalta, e avrei voluto che la notizia si fosse saputa dopo la partita, ma mi ha commosso questa vicinanza. Specialmente quella delle persone comuni, che mi hanno ascoltato negli anni”. Un segno evidente, dunque, di aver lasciato qualcosa di importante. Così importante, da poter salutare col sorriso. “Mi sento soddisfatto, sarò ricordato come volevo, con due cose che per me sono sempre state la priorità: l’onestà intellettuale e il garbo. Ho sempre dato tutto me stesso per tenere vive queste qualità e sono felice che siano riconosciute” spiega Cucchi.
Se ogni fine rappresenta un inizio, Riccardo preferisce un ritorno a ciò che era prima di raccontare il calcio agli italiani: “Ricordo quando ero bambino e mi incantavo ascoltando Ciotti e Ameri, desideravo diventare come loro. Finita la radiocronaca di domani, tornerò ad essere un appassionato ascoltatore e soprattutto ricomincerò a pranzare la domenica con mia moglie”. Dalla semplice ammirazione alla collaborazione: Cucchi, infatti, ha cominciato la sua carriera in Rai nel 1979, seguendo proprio Enrico Ameri. “All’epoca, dopo i corsi per la professione, dovevamo affiancare i cronisti più esperti. Il nostro compito era stare in silenzio e aiutarli quando era possibile. Enrico voleva sempre che prendessi nota dei calci d’angolo che venivano battuti. Dovevamo cercare di apprendere il mestiere e rubare tutti i segreti possibili” racconta. Ma i ricordi più belli sono legati alle ore precedenti alle partite: “Potremmo scriverne un libro. Non dimenticherò mai le partite a scopone col barista di San Siro o il fatto che dovessi accompagnarlo tutte le volte in chiesa. Appuntamento alle 9:30 nella hall dell’albergo e via alla messa delle 10. Come potevo dirgli che ero ateo…”.
La sua voce ha raccontato l’impresa dell’Italia ai Mondiali del 2006, la realizzazione di un sogno. “Nel 1934 e nel 1938 c’era Carosio, nel 1982 Ameri. Ciotti, nel 1994, non fu fortunato. Credo sia l’aspirazione di ogni giornalista, di qualsiasi testata, poter raccontare della propria Nazionale campione del mondo. Ero ebbro di gioia, ammetto anche di essermi lasciato andare troppo, ma mi perdono. Passai tutta la notte sveglio, a vagare per Berlino, per prepararmi poi ai collegamenti del mattino. E’ stato un orgoglio aver trasmesso la felicità a tanti tifosi italiani, anche in occasione degli scudetti” osserva Cucchi.
Quasi quarant’anni di carriera, in cui la radio ha cambiato la sua funzione, nel calcio e in generale nel mondo dell’informazione. Ma la nostalgia scaturita dal suo ritiro è un segnale inequivocabile: è ancora un mezzo di rilievo nella cultura di massa, anche se non di primo piano: “Sono contento di poter dire la mia al riguardo, perché l’argomento mi è sempre stato a cuore. La radio ha un impatto sociale incredibile, è al servizio delle persone. Penetra tra la gente. Pur essendo la più antica ha saputo anticipare la modernità. Nel calcio, prima esistevano solo le radiocronache di Ameri e Ciotti. Oggi, entra in gioco quando magari non si hanno a disposizione tv e divano, è l’alternativa fondamentale. Il calcio ha un costo e noi siamo la soluzione per chi non se lo può permettere”. Linea a Corsini.