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Data: 20/10/2017 -

Da Kierkegaard alla telefonate notturne, il dt del Watford Giraldi si racconta: "In Serie A stimo Milinkovic-Savic. Che feeling con Marco Silva"

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2 punti in più di Liverpool, Arsenal e del Chelsea avversario di domani, quarto posto a quota 15. Tra le nobili di Premier in questo inizio di stagione c’è un intruso, se così si può chiamare, appaiato a ridosso delle big: il Watford di Marco Silva. “Sinceramente non ci aspettavamo nemmeno noi questi risultati ma la squadra sta facendo un grande lavoro anche grazie ad un’ottima struttura ed un ottimo allenatore. Logico, ci speravamo. L’obiettivo rimane però invariato: giocarci ogni partita a viso aperto, stabilizzandoci. Vedremo poi a fine anno dove saremo”, racconta col suo accento toscano rimasto assolutamente incontaminato il dt degli Hornets Filippo Giraldi, italianissimo come la proprietà del club: la famiglia Pozzo.

Una squadra arrivata in alto grazie alla forza delle proprie idee e di una certa destrezza nell'utilizzare le proprie risorse, su immagine e somiglianza di chi l’ha costruita. Ho giocato a calcio fino a 18 anni ma non ero buono! Mi correggo, sarei potuto diventare un giocatore di Serie C o, esagerando, di Serie B. Così decisi di dedicarmi ad altro iniziando ad allenare i bambini di un settore giovanile dilettantistico. Qualche anno dopo mi volle il Prato dove rimasi 10 anni arrivando fino alla prima squadra ma dove, soprattutto, costruimmo un settore giovanile all’avanguardia formato da circa 200 ragazzi partendo praticamente da zero. Facemmo un lavoro straordinario – ha dichiarato in esclusiva Giraldi per GianlucaDiMarzio.com -. Passai così al Brescia ed infine eccomi qui al Watford, dove arrivai 6 anni fa e dove posso mettere in pratica tutta la mia gavetta. Quanto mi è servita! Soprattutto nel rapportarmi con chi andrò ad acquistare perché per me è importantissimo conoscere il carattere dei giocatori per poterli inserire in un determinato contesto. La tecnologia e piattaforme come Wyscout e Scout7 sono importanti e hanno rivoluzionato il mondo dello scouting ma noi le usiamo solo per poter avere una prima impressione dei giocatori e conoscere il mercato. Poi, vogliamo vedere coi nostri occhi chi fa al caso nostro e soprattutto conoscere chi abbiamo davanti. A volte bastano 2’ per farsi rubare l’occhio da un talento, altre volte serve più tempo. Dipende molto dal campionato in cui si gioca e in cosa si va a cercare tentando di seguire il profilo richiesto dall’allenatore. Una cosa è certa: non si smette mai di imparare e il prossimo colpo sarà sempre più importante di quello appena concluso. Senza dimenticare gli errori…”. Dedizione totale alla causa per lui che “le partite le vivo malissimo! Che tensione, meno male che non mi rivedo in tv – ride -… Da buon toscano mi faccio trasportare dalla passione. Lavorativamente sono contentissimo, non posso certo lamentarmi. L’Italia mi manca per quanto riguarda la mia famiglia e i miei due figli piccoli che vivono ancora a Firenze. Appena posso, torno”.

Un notevole incremento di responsabilità da quando non ricopre più il ruolo di responsabile dello scouting ma di direttore tecnico. “Quando posso viaggio e viaggiare rimane sempre la mia grande passione. Da quando sono dt però sto più a contatto con la squadra in particolar modo a ridosso dei big match ma in generale cerco di coniugare le due cose. Per me è un lavoro totalizzante: 24 ore su 24. Ogni tanto vorrei anche staccare ma proprio non ci riesco. Anzi, invidio i miei colleghi che ce la fanno! Per fortuna nel club non sono il solo ad intendere così il mio lavoro. Per esempio capita che io e il CEO, Scott Duxbury, ci telefoniamo di notte o alla mattina prestissimo per parlare delle nostre idee riguardanti il club non appena ci vengono in mente. Sono contentissimo della libertà di agire e del ruolo che ricopro: non cambierei il mio lavoro al Watford con niente al mondo. Logico, se un domani qualche grande squadra mi presenterà un progetto in cui potrei risultare ancora più utile di quanto lo sia qui, allora la valuterò. Ma il Watford per me non è un lavoro, è la mia squadra”.

Due grandi passioni grazie alle quali ogni tanto riesce forse ad isolarsi anche per un solo istante dal mondo del calcio il dt però le conserva: la filosofia e il pugilato. “Non ho un filosofo preferito ma Kierkegaard mi appassiona. Per quanti riguarda i pugili ammiro molti grandi del passato: da Ray Sugar Leonard a Marvin Hagler e non solo. Oggi trovo avvincente Anthony Joshua (originario di Watford, ndr) anche se tecnicamente non è il mio favorito”. Ovviamente però per uno scout la più grande passione rimarrà sempre una e una sola: riconoscere il talento. “Ce n’è uno in Serie A che mi piace davvero moltissimo ma che ovviamente non può essere accostato al Watford per diversi, ovvi motivi: Sergej Milinkovic-Savic. Non voglio fargli un promo ma abbina incredibilmente caratteristiche tecniche e fisiche. In Premier farebbe benissimo”.

Filippo pensa bene di godersi i suoi, di talenti. Uno in particolare. Un brasiliano capace di far già innamorare di sé i tifosi dalle parti di Vicarage Road: quel Richarlison acquistato in estate beffando la concorrenza di Ajax e Milan. “Anche se preferisco parlare del lavoro di gruppo e non del singolo, per quanto riguarda Richarlison lo seguivamo da tempo ma dovevamo valutare se fosse adatto o meno alla Premier. Alla fine piaceva all’allenatore che parla la sua stessa lingua e che l’ha convinto con una telefonata del nostro progetto poi, anche grazie agli ottimi rapporti col suo entourage, abbiamo anticipato la concorrenza. Da noi può crescere in tranquillità step by step così da poter essere pronto un domani per una grandissima squadra. È nel suo destino far grandi cose. Ora però ce lo teniamo stretto – ride -! Ma non è l’unico giovane forte di questa squadra: penso anche a ragazzi un po’ più grandi di Richarlison come Doucoure o Pereyra, un giocatore fondamentale per noi che se trovasse la continuità superando definitivamente i guai fisici potrebbe farci fare il salto di qualità. Per non parlare di Chalobah: il colpo a cui sono maggiormente affezionato per il valore del calciatore ma soprattutto del ragazzo, tornato da noi preferendoci ad altri club sulla carta più blasonati dopoché 5 anni fa fu uno dei nostri primi acquisti. I nostri ragazzi riescono a esprimersi al meglio grazie ad un collettivo organizzato, dentro e fuori dal campo, perché il singolo se lasciato solo fa poca strada…”.

Ma soprattutto all’interno di “un progetto che funziona e che passerà dai risultati in campo. Non mi piace riempirmi la bocca di belle parole ma dovremo guadagnarci ogni cosa coi risultati, passo dopo passo. Posso dire però che abbiamo tutto il necessario per essere competitivi e che l’area tecnica progredisce di pari passo all’area manageriale e alle infrastrutture grazie in particolare al lavoro del nostro CEO. Noi possiamo solo lavorare, lavorare e lavorare. E dobbiamo farlo un’ora più degli altri per raggiungere certi risultati. Una cosa è certa: siamo iper ambiziosi”. Un progetto da questa stagione coadiuvato da quel Marco Silva ambientatosi subito benissimo tra gli Hornets dove il rapporto tra Mazzarri e i tifosi sembrava essersi invece logorato. Ma “è antipatico far confronti. Soprattutto tra allenatori così diversi. Logico, c’è chi è più adatto ad un tipo di calcio e chi ad un altro. Poi che abbiano un approccio e metodologie diverse è indiscusso. Lo scorso anno ad esempio abbiamo fatto bene fino ad un certo punto della stagione senza giocare un calcio brillantissimo, poi sono subentrati diversi infortuni e abbiamo faticato nel finale di stagione. Se dovessi raccontare Marco Silva in due parole direi: energia e entusiasmo. È un allenatore maniacale nella cura del dettaglio e imposta la partita per imporre il nostro gioco senza mai snaturarlo a seconda di chi affronta. Facciamo molto scouting anche per quanto riguarda gli allenatori ed il profilo di Marco Silva ci è sembrato fin da subito ideale per il nostro progetto”.

Infine, a coloro che affermano che l’ascesa di questo Watford sia coincisa col declino dell’Udinese rimproverando ai Pozzo una maggior dedizione verso un club rispetto all’altro, Giraldi risponde “in toscano, dicendo che è una caz***a – rigorosamente pronunciata con la ‘c’ ben aspirata, ndr -! Tornando seri, non è assolutamente vero. Sarebbe come affermare che un genitore vuole più bene ad un figlio piuttosto che all’altro, ma com’è possibile?! L’Udinese ha tanti giovani di prospettiva, manca solo la continuità e poi dipende sempre da stagione a stagione. Per dimostrare la mia teoria vi ricordo che abbiamo ceduto all’Udinese un giocatore importante per noi come Behrami proprio per aiutare i giovani ad Udine con un centrocampista di grande esperienza. Ovviamente le entrate al Watford non sono paragonabili a quelle dell’Udinese ma questo è un altro discorso”. Conclude Giraldi con un breve excursus prima di tornare a focalizzarsi esclusivamente sui suoi Hornets. Loro sì che gli stanno regalando soddisfazioni. Ma attenzione: è obbligatorio proseguire su questa strada a partire dal match di domani col Chelsea per convincere chiunque definitivamente che quel Watford così in alto possa considerarsi tutt'altro che un intruso.



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