C’è stato un periodo in cui Paulo Vitor Barreto
non poteva nemmeno uscire di casa senza essere riconosciuto. “Mi fermavano al
ristorante, per la strada. Sempre al centro dell’attenzione. Oggi invece sono
senza contratto e cerco una squadra”, ci annuncia l’attaccante brasiliano, 33
anni, in esclusiva per Gianlucadimarzio.com.
Nella Serie A del nuovo millennio non c’è stata meteora
più incredibile del Bari 2009/10. Piombata dal nulla, un fugace splendore e
poi fine dell’incanto. Come il suo bomber e uomo simbolo. “Quei tempi purtroppo
sono lontani, ma per me resteranno sempre un grande ricordo. Un’ avventura che poteva durare di più, ma succede”, continua Barreto, un filo di amarezza
nella voce. Poi ha inizio il suo flashback.
“Ero arrivato dall’Udinese nel 2008, dopo una
buona stagione in prestito a Treviso. La chiamata di Antonio Conte mi aveva convinto
subito. Ma non mi aspettavo neanch’io che andasse così bene il primo anno”. 25
gol in 34 presenze stagionali, in tandem con un giovane Ciccio Caputo: nei
primi cinque anni di carriera Barreto ne aveva segnati 26. A Bari ha inizio la
magia, con la squadra del futuro allenatore bianconero che vince la Serie B. “Di
tutti quegli anni, la festa promozione è stata l’immagine che mi ha colpito di
più. 100mila persone in piazza, un impatto fortissimo, tutti quei tifosi. Bari è
una piazza esigente e delicata, ma quando li fai felici ti danno tantissimo”. Figuriamoci
al ritorno in Serie A, dopo otto stagioni.
“In estate Conte purtroppo andrà via, ma poi è
arrivato mister Ventura”. Un motivetto ahimé già noto, alle nostre orecchie
azzurre. Ma Bari non è la Nazionale. “Il gruppo era simile e il nuovo
allenatore è stato bravo a mantenere il nostro sistema di gioco”. Quel 4-2-4
che diventerà il suo marchio di fabbrica. “Con chi mi sono trovato meglio? Da
Conte ho imparato tantissimo e avrei potuto imparare ancora di più se fosse
rimasto: si vedeva che era un grandissimo allenatore, non mi stupisce che si
arrivato ad alti livelli”. Lì, dove invece è caduto Ventura. “Ma avevo un buon
rapporto anche con lui: è facile, quando le cose funzionano bene”.
E in quel 2009/10 sono funzionate eccome. Il
debutto in campionato è a San Siro, contro l’Inter che avrebbe vinto il
triplete: Kutuzov risponde a Eto’o e ferma i nerazzurri sull’1-1. “E al ritorno
avremmo anche potuto vincere!”, si mangia le mani Barreto, a quasi dieci anni
di distanza. “Eravamo passati in vantaggio 2-0, due gol miei su rigore. Alla
fine loro avevano grandi campioni e ci hanno raggiunto. Ma siamo stati
sfortunati: nel finale Alvarez ha
sciupato la palla del 3-2 (ma come gliel’aveva messa Vitor, ndr)”. La solita bestia nera dell’Inter, come ai tempi di
Masinga e Cassano.
“È stato un campionato stupendo, ci riusciva tutto
semplice e in campo ci divertivamo”. Barreto metterà a segno 14 reti: come Totti,
più di Eto’o e Cavani. La specialità della casa era lo scatto sul filo del fuorigioco,
su lancio millimetrico dalle retrovie. Alias Leonardo Bonucci. “Ci conoscevamo
dai tempi di Treviso. Ha degli ottimi piedi e ci capivamo al volo senza programmare
nulla”. Nel gol di Barreto contro l’Udinese sembra di rivedere Giaccherini
contro il Belgio. “Il più bello? Per me sono stati tutti gol
importanti. Contava la vittoria: il Bari mancava da tanto in Serie A e il
nostro obiettivo era rimanerci”. Missione compiutissima. Decimo posto finale
(come nel 98/99 e nell’89/90, l’anno del successo in Mitropa) e 50 punti all’attivo:
per i biancorossi, mai così tanti in massima serie.
Così, dal brasiliano a Bonucci, da Almiron ad
Alvarez, i ragazzi di Ventura sono entrati nella storia della città. Ma fuori
dal campo com’erano? “Io sono un ragazzo tranquillo. Tv, computer, tanto tempo
a casa. Anche perché, come ho detto, a Bari era difficile uscire in quegli anni lì! Vivono il calcio in modo molto passionale”. Un campione schivo Barreto, anche all’interno dello spogliatoio.
“Lì non c’era un vero e proprio leader. Gillet era il capitano ma le decisioni
si prendevano insieme. Io però no: la mia voce non si sentiva mai, non decidevo
niente (ride, ndr). Finito l’allenamento me ne andavo a casa e pensavo alla partita”. Parlava solo con i gol. “Eravamo un gruppo affiatato, positivo. Ma l’uomo simpatia
era senz’altro Allegretti: scherzava e ci faceva ridere”. Più nomen omen di
così.
Dei protagonisti di quel Bari, resistono ancora in
Serie A Ranocchia, Masiello, Meggiorini (“e si allenava con noi dalle giovanili
anche Iago Falque: era già un ragazzo fortissimo”). Oltre ovviamente al
difensore più discusso dell’ultimo biennio. “All’epoca sapevo che avevamo
talento, ma non era facile predire chi di noi si sarebbe affermato su alti
livelli. Ci dev’essere sempre qualcuno
dietro che ti segue: se lo avessi avuto anch’io, dopo il 2009/10 sarei
probabilmente andato in una grande squadra”. Qualche rimpianto? “C’era il
cugino di mia moglie che mi dava una mano, ma non avevo un vero e proprio
procuratore. Quella forse è stata la mia pecca, ero giovane. Sono una persona
riservata, anche nelle trattative non mi facevo molto vedere. E se non hai
qualcuno che ti propone alle squadre…”.
La parabola di Barreto comincia a scendere. “A
Bari mi ha fermato l’infortunio nella terza stagione: se non fosse stato per
quello sarei rimasto. Ma nel 2010/11 è girato tutto storto e siamo retrocessi”.
Da ultimissimi. Dopo 73 presenze e 43 gol in biancorosso, l’attaccante fa
ritorno a Udine. Gli infortuni però non gli danno tregua: Barreto tornerà al
gol solo due anni e mezzo più tardi, quando ormai veste la maglia del Torino.
“Mi aveva chiamato Ventura, non potevo dire di
no. Lì ho ritrovato Meggiorini, Masiello, Gillet e Gazzi. Per alcuni mesi sono stato
anche bene fisicamente”. Bari revival in salsa granata. “Ogni tanto ci sentiamo
ancora, anche con Allegretti, ma è difficile vedersi fuori dal campo”. Il Toro
di Ventura vola, ma per Barreto l’illusione dura poco: nelle due stagioni e
mezzo in granata colleziona più infortuni che gol (4). L’ultimo il 31 luglio
2014, nel terzo turno preliminare di Europa League contro gli svedesi del
Brommapojkarna. Seguirà una fugace parentesi in Serie D al Venezia, poi la
stella del San Nicola sparisce dai radar.
Un destino condiviso oggi anche dal suo Bari. “Mi
dispiace che sia finito così giù, è stato veramente brutto”, continua Vitor. “Quando
il Bari giocava in B ho provato per tre anni a tornarci. Ma la società non era
interessata”. E adesso? Barreto e Bari possono ripartire insieme? “Non li ho più
chiamati, però ci farei ritorno volentieri. È una società che mi ha dato tanto, una
piazza importante”. Lo storico numero 10 lancia l’appello. “Per i biancorossi
scenderei anche in D, ma io vorrei tornare a giocare come professionista. So di poter dare ancora tanto al calcio, fisicamente sto bene e mi alleno sempre.
Fino a qualche mese fa tra le file del Pordenone, prima di avere delle proposte
dagli Emirati e da Malta che però non si sono concretizzate”.
La casa del brasiliano è l’Italia. “Voglio
rimanere qui, vivo a Udine, aspetto una squadra che mi dia l’opportunità di rientrare. Non è questione
di soldi, quello che mi piace è giocare a calcio. Anche perché non saprei fare
altro”. Confessioni di una meteora, che forse non ha finito di accendersi.
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