C’è stato un periodo in cui Thomas Tuchel non voleva avere più niente a che fare con il calcio. Aveva lasciato il campo e aveva iniziato a lavorare dietro al bancone di un bar di Stoccarda. Nel ’96, a 23 anni, aveva vinto un campionato nazionale dilettanti con l’Ulm e nel 1999 quella squadra saliva in Bundesliga per la prima e unica volta della sua storia senza di lui. Come se qualcuno gli stesse rubando il sogno di sempre e lo stesse vivendo al posto suo.
Dopo la conquista della finale di Champions League anche Jorginho aveva parlato di sogni. “Sono lì per essere realizzati”. Ma forse Tuchel per qualche tempo alla fine degli anni ’90 non ci avrebbe creduto. Poi Rangnick, dopo quel miracolo dell’Ulm, si è ricordato di lui, gli ha dato una chance, una squadra (anche se Under14), un biglietto per Stoccarda e la panchina dell’Under19.
Forse il Tuchel-ball del Chelsea di adesso è nato lì. Basti pensare all’incontro con Helmut Gross, pioniere di una rivoluzione tattica in Germania tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, padre della marcatura a zona e del pressing alto declinato al calcio tedesco. Gross, Rangnick e la scuola Stoccarda: un’ispirazione per Tuchel. Un po’ come lo sarà il Barcellona di Pep Guardiola anni dopo. Già, Guardiola, l’avversario battuto nella finale di Champions di Oporto.
Tuchel è un uomo venuto dal nulla ma è stato anche definito uno scienziato dello sport che a Magonza, città del carnevale, ha tolto qualsiasi maschera e ha indossato il costume da allenatore di una prima squadra che non ha più tolto. Lì ha retto a qualsiasi paragone con Jurgen Klopp. Non certo il più semplice dei compiti. Ma Tuchel è sempre stato uno studente diligente. Di quelli che riescono a strappare un sorriso anche al professore più severo. Ieri come oggi. Il suo Mainz gioca contro il Bayern? “Vorrei schierare due portieri ma non posso…”. Werner non riesce più a segnare? “I gol arriveranno. E’ come quando una donna non vuole venire a cena con te, non insistere. Poi magari sarà lei che verrà a cercarti”.
Questione di strategie. Come quando è riuscito a dare fiducia ad un 19enne Schurrle che doveva giocare in prima squadra (ai tempi del Mainz) contro il Dortmund. Cosa serviva in quel momento? Un foglietto. E sopra elencate le qualità e caratteristiche di Raul Gonzalez Blanco. E quindi? “Mi disse che avevamo molto in comune. Quel pezzo di carta è ancora a casa di mia madre”. Chissà se a distanza di qualche anno da queste dichiarazioni di Schurrle quel foglietto è ancora lì.
Certo è che il vizio di valorizzare gli attaccanti Tuchel non l’ha perso mai. Non al Borussia Dortmund, nè al PSG e certamente nemmeno al Chelsea. Stesso discorso per i centrocampisti. Poi è chiaro che se in quelle zone c’è Ngolo Kantè è tutto più semplice. Anche per un allenatore che subentra a stagione in corso.
Aveva preso il Chelsea al nono posto in Premier, è finito quarto, in finale di FA Cup e ha vinto la Champions League. Tutto in 4 mesi.
Alla guida del primo club a fare dietrofront dalla Superlega e negli stessi 4 mesi sulla panchina del Chelsea Tuchel ha battuto Simeone (2 volte), Mourinho, Ancelotti, Klopp, Zidane (2 volte) e Guardiola (3 volte).
E’ anche il primo manager nella storia della Champions League ad aver disputato due finali consecutive e con due squadre diverse. Una rinvincita sul PSG e una gioia enorme col Chelsea, club che per la terza volta ha giocato una finale di Champions con un allenatore subentrato a stagione in corso.
E ha vinto, come nel 2012 con Di Matteo. Chiamatelo pure l’effetto Tuchel. E, questa, la vittoria di Tuchel.
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