Categories: Interviste e Storie

Dalla maglia di Di Vaio alla promessa agli amici: alle origini italiane di Thuram

Al civico 22, in viale Solferino, dalla strada che affaccia sui Bastioni della Cittadella, se lo ricordano ancora tutti. Si ricordano di questo ragazzino che aveva sempre il pallone sotto a un braccio. Con una mano lo reggeva, l’altra era ferma in tasca. Aspettava, Marcus. Aspettava qualcuno con cui potesse tirare due calci a quel pallone. Chiunque entrasse in casa, un appartamento di quattro piani nella zona più residenziale di Parma, veniva ‘sequestrato’ da Marcus e portato in taverna dove c’era tutto l’occorrente per simulare una partita di calcio.

 

 

A casa Thuram il pallone è sempre stato un affare di famiglia e il piccolo Marcus dormiva, mangiava e si svegliava con lui accanto. Non c’erano altri giocattoli, non gli interessavano. Voleva solo fare gol, si sentiva Di Vaio. Era preso dal numero 20. Lo stesso numero degli scudetti dell’Inter. E proprio Thuram Jr ha contribuito in modo importante a cucire lo scudetto numero 20 sulle maglie nerazzurre. Segno del destino. A lui interessava fare gol e basta. Taverna di casa o Parco della Cittadella, non cambiava niente. Mentre la mamma si divertiva a girare la città in vespa, con un’amica che si è preso cura anche di Marcus, Lilian giocava (e vinceva) a Parma, dove è nato Marcus che ora gioca (e vince) a San Siro. 

 

 

“Io sono Di Vaio…”

Lo Stadio nel quale ha sempre sognato di giocare e segnare. E ieri ha segnato – forse – il gol più importante della sua carriera. Un destro affilato al 4’ del secondo tempo di un derby vinto che è valso non solo la gloria cittadina, ma il dominio e la seconda stella. Un lampo nel cielo grigio di San Siro che ha squarciato la partita e ha mostrato il volto luminoso di un’Inter sorridente, come Marcus. Già ai tempi di Parma sognava di poter calpestare quel prato, mentre indossava la maglia di Marco Di Vaio e si divertiva a dribblare gli amici di famiglia. Li piazzava in porta: “Io sono Di Vaio, tu sei Buffon”, mentre masticava sogni di gloria, correndo dietro a uno dei tanti palloni di casa Thuram. Riservato, cresciuto nel rigore e nelle regole che il padre ha sempre cercato di trasferirgli, Marcus andava pazzo per la pasta al pomodoro. Se la faceva cucinare dagli chef de Il Gabbiano, quando il ristorante ora in via Morigi era ancora su via dei Mille e ospitava gli eroi di un Parma che aveva scritto pagine di storia. Quella stessa storia che ieri, a San Siro, ha firmato Marcus.

 

 

“Se segno non esulto…”

Una stilettata che ha stappato la gioia degli interisti, sfociata in Piazza Duomo per tutta la notte. Tanti vecchi amici da Parma hanno esultato con lui ieri sera, gli stessi che l’hanno visto crescere e che, forse, non sarebbero mai arrivati a pensarlo tra gli immortali che hanno consegnato all’Inter lo scudetto della seconda stella. San Siro ai piedi di Marcus nato a Parma 26 anni fa. Di recente è tornato in città, ha chiesto del Parma e si è informato. Naturalmente qualche riflesso gialloblù illumina – seppure di striscio – ancora i suoi pensieri. Marcus conosce la situazione della squadra di Pecchia, sa che avrà molte probabilità di giocarci contro il prossimo anno e avrebbe fatto una promessa ai vecchi amici di famiglia: “Se segno al Tardini non esulto”. Un segno di riconoscenza, di rispetto. In fondo, quel bimbo cresciuto al civico 22 di via Solferino, è ancora legato alla città che gli ha dato la vita. E anche se non ha più il pallone sotto un braccio, se non tiene più la mano in tasca aspettando che passi qualcuno con cui giocare a calcio, Marcus se lo ricorderanno tutti comunque.

 

A cura di Guglielmo Trupo

Redazione

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