Il caso Diarra “cambierà il calciomercato”. La sentenza come “nuova legge Bosman“. Cosa c’è di vero in tutto ciò che si è letto e scritto in questi giorni? Proviamo a spiegare in modo semplice e chiaro quanto è accaduto e potrà accadere al riguardo.
Partiamo dai fatti principali: una sentenza della Corte di Giustizia Europea ha stabilito che alcune norme del regolamento FIFA sono contrarie alle leggi dell’Unione Europea. Lo ha fatto esaminando un contenzioso nato dieci anni fa tra Lassana Diarra, centrocampista ex Real Madrid, e il Lokomotiv Mosca, club russo. Diarra aveva lasciato il Lokomotiv dopo uno solo dei quattro anni pattuiti dal suo contratto, e per questo era stato condannato a pagare un risarcimento di circa dieci milioni di euro. Ma questa vicenda come impatta sullo scenario europeo dei trasferimenti?
La sentenza al momento è disponibile solo in due versioni (francese e polacco) e non è ancora stata tradotta nelle altre lingue. A gianlucadimarzio.com abbiamo avuto la possibilità di prendere visione del testo integrale.
Per capire il caso Diarra serve prima fare un passo indietro. Il 15 dicembre 1995, Jean-Marc Bosman, calciatore belga, vince una causa che farà giurisprudenza. Dopo il caso Bosman, infatti, la FIFA fu costretta ad abolire l’indennità di trasferimento a fine contratto. Da quel momento, al termine del proprio contratto, i calciatori erano liberi di trasferirsi da una squadra all’altra, senza versamenti di denaro.
Fu necessario un ultimatum della Commissione Europea, che minacciò sanzioni, perché la FIFA adeguasse il proprio regolamento alla sentenza Bosman. Erano passati 6 anni: dal 1995 al 2001 nulla si era mosso. L’esito fu un gentlemen agreement della FIFA con la stessa Commissione Europea, basato sulla “stabilità contrattuale“, un concetto che si ritrova anche nella sentenza Diarra. I club però temevano che non avrebbero più avuto introiti dai trasferimenti dei calciatori. Per questo la FIFA chiese e ottenne una misura compensatoria: furono introdotte l’indennità di formazione e meccanismo di solidarietà, misure che garantirono ai club un guadagno anche in caso di partenza di un calciatore a parametro zero. Inoltre si istituì una Dispute Resolution Chamber (DRC), un ente per la risoluzione dei casi più problematici.
Fu introdotto così l’articolo 17: le sentenze FIFA sulla risoluzione contrattuale con o senza giusta causa (da parte di calciatori o club) sono tutte fondate su di esso. L’articolo 17 dice che: quando c’è una risoluzione contrattuale in pendenza di contratto, la parte che risolve senza giusta causa (un valido motivo) è passibile di sanzione economica e sportiva. In sostanza: se il lavoratore/calciatore si licenzia senza giusta causa, il suo datore di lavoro (il club) può pretendere una quota a titolo di risarcimento. L’articolo 17 fissa dei criteri che la FIFA definisce “oggettivi” per determinare l’entità del risarcimento: numero di anni di contratto rimanenti, stipendio, spese del club in corso per acquisire il calciatore, ecc. Tutti questi parametri sono stati attaccati e contestati nella sentenza Diarra. La Corte di Giustizia Europea dice che questi criteri non sono chiari, trasparenti, oggettivi: un club o un calciatore che risolva senza giusta causa un contratto non sapranno mai con sicurezza la quota da pagare.
Nell’articolo 17 del regolamento FIFA è illustrato il principio della responsabilità in solido (joint responsibility) tra club e giocatore. Per chiarire di cosa si tratta, consideriamo proprio l’esempio di Diarra. Nel 2014 il francese risolve con il Lokomotiv e viene condannato dalla corte; lo Charleroi gli fa un’offerta e scrive alla FIFA e alla Federazione Belga: “Siamo interessati a mettere Diarra sotto contratto, sappiamo che è stato condannato e deve pagare 10 milioni, e che esiste una norma del regolamento FIFA che obbliga anche noi a pagare (il principio della responsabilità in solido, ndr). Ma non abbiamo intenzione di farlo“. FIFA e Federazione riaffermano la validità del principio, e così lo Charleroi non mette sotto contratto Diarra. La Corte, pochi giorni fa, ha detto: il principio della responsabilità solidale è un chiaro ostacolo alla libera circolazione dei calciatori/lavoratori, che non riusciranno a trovare club pronti a metterli sotto contratto. O meglio: sarà per loro molto più difficile trovarli. Sull’altro tema centrale della sentenza, quello della libera concorrenza, la Corte va giù ancora più pesante, affermando che i club sono liberi di concorrere sul mercato e di acquisire i prodotti e i servizi (in questo caso le prestazioni dei calciatori).
Uno dei paragrafi più importanti della Sentenza Diarra è il numero 145. La Corte sostiene, in sintesi: “Tenendo conto della specificità dello sport, in caso di risoluzione dei contratti potrebbero essere un deterrente anche gli strumenti normali che si usano nel diritto del lavoro per far desistere un calciatore a non rompere il contratto“. Quali sono questi strumenti? Sono princìpi giuridici fissati nel diritto del lavoro di ogni paese per stabilire l’ammontare di queste indennità. In Belgio, per esempio, il diritto del lavoro dice che il calciatore deve versare al club soltanto la parte rimanente del contratto.
La FIFA non potrà aspettare 6 anni come all’epoca di Bosman per intervenire, ma dovrà farlo al più presto. Se un calciatore decidesse di risolvere oggi il contratto senza giusta causa, infatti, in caso di condanna dalla FIFA DRC (che si attiene ai propri regolamenti e all’articolo 17) potrebbe portare il caso alla corte per un articolo che è stato dichiarato contrario al diritto dell’Unione Europea. Sostanzialmente, un articolo nullo.
La FIFA a questo punto si trova di fronte a due strade.
1: Questa sentenza può essere l’opportunità per la FIFA e i suoi stakeholders di evolvere il regolamento, rendendolo più moderno e rispettoso del diritto dell’Unione Europea;
2: La stessa sentenza potrebbe rivelarsi un grosso ostacolo, quasi un disastro, qualora non si determinassero misure alternative in risposta alla sentenza.
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