Il denominatore comune è una rottura insanabile, a stagione in corso. La presa di coscienza dell’impossibilità di portare avanti un progetto, di raggiungere un compromesso. Così, la Roma si ritrova per la quarta volta dalla gestione Pallotta a riformulare strategie, a cambiare la direzione sportiva e adattarla alle esigenze forse troppo mutevoli di una società che da anni si muove tra i vincoli imposti dal bilancio e la voglia invece di imporsi ai vertici.
Walter Sabatini nell’ottobre 2016 sottolineava la differenza di approccio. “Il presidente e i suoi collaboratori adorano la statistica, cercano algoritmi vincenti. Io invece mi fido dell’istinto e della fantasia” disse nella conferenza stampa in cui annunciava le ragioni della separazione.
Si era scontrato con la ricerca di un modus operandi analitico, che non gli è mai appartenuto troppo: “Sono un europeo crepuscolare, lui un imprenditore incline ai numeri. Per Pallotta il calcio è un’azienda, per me no e i conflitti sono stati chiari ed evidenti”. Le contingenze hanno fatto il resto: “Siamo incappati nel ciclo straordinario della Juventus e non siamo stati fortunati”.
Fu scelto Monchi, tra gli artefici del Siviglia delle tre Europa League, per dare la svolta. Pallotta racconterà di avergli dato più responsabilità rispetto a quelle normali del direttore sportivo: voleva che fosse lui a scegliere, ad esempio, staff medico e preparatori di primo livello. Dopo una stagione magica, contraddistinta dalle semifinali di Champions League, a fare per primo le spese delle difficoltà dell’anno successivo fu Eusebio Di Francesco, esonerato.
Una scelta che non fu condivisa anche se, a detta di Monchi, la rottura non fu direttamente consequenziale: “Le mie idee erano diverse da quelle della proprietà, il mio addio non è legato all’esonero. Ho capito che la concezione del club era diversa dalla mia: Pallotta pensava che fosse meglio andare a destra, io invece a sinistra. E continuare così non era giusto. Posso solo parlare bene del presidente e di coloro che mi hanno portato a Roma, ma le strade erano diverse e abbiamo deciso di fermarci. La scelta di esonerare Di Francesco è arrivata in un momento in cui già sapevo che la mia permanenza qui non era sicura”.
Conoscitore del calcio italiano, a Gianluca Petrachi era stato dato il compito di costruire una Roma giovane e attenta alle occasioni, da consegnare alla guida di un allenatore capace e ambizioso come Paulo Fonseca. L’obiettivo minimo è la qualificazione in Champions League, per cui i giallorossi sono ancora in corsa, ma col chiaro intento di ottenerlo col minimo margine di incertezza per la prossima stagione.
Poi gli eventi hanno modificato le strategie iniziali: su tutti, la crisi economica della pandemia e una cessione societaria che non si è verificata. Situazioni che hanno fatto emergere le divergenze tra Petrachi e Pallotta, che in seguito ad un confronto acceso ha deciso di cambiare ancora, dopo soltanto un anno. E in un contesto del genere fare previsioni sulla Roma che verrà sarebbe impossibile per chiunque.
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