Dieci anni fa, dalle parti di Glasgow, l’Europa non la vedevano nemmeno col binocolo. I Rangers erano una squadra di Scottish League Two, la quarta e ultima divisione del calcio scozzese, e la ferita del fallimento societario dell’anno precedente bruciava troppo, era troppo umiliante. Così tanto da far sbiadire il ricordo dell’ultima finale europea: in Coppa UEFA 2007-2008, sconfitta a Manchester contro lo Zenit San Pietroburgo.
Oggi, invece, gli scozzesi sono tornati a sognare in grande: hanno raggiunto Siviglia, la tappa finale di questa Europa League. Hanno battuto il Lipsia dopo la sconfitta dell’andata e, adesso, si ritroveranno davanti l’Eintracht Francoforte che – dopo aver eliminato il Barcellona ai quarti – hanno vinto il doppio confronto con il West Ham. Quella di ieri è stata l’ennesima partita magica di questa stagione per i Rangers, che hanno festeggiato coi loro tifosi, unici al mondo. Una doccia scozzese per il Lipsia, eliminato in rimonta dalla competizione (qui tutti i risultati della serata).
Allan McGregor di notti come quella di ieri, in quasi 25 anni di carriera, ne ha vissute tante. Sa cosa può diventare Ibrox nelle serate di gala, sa che i 50000 e passa che ne abitano gli spalti possono sembrare molti di più, quando accordano il loro canto in un unico coro. C’era anche lui, nel 2008, in quella finale all’Etihad, quando il sogno della prima Coppa Uefa della storia dei Rangers sfumò per colpa dei gol di Denisov e Zyrjanov, e di un eccezionale Arshavin. I capelli grigi e brizzolati raccontano di qualcuno con l’esperienza necessaria per sapere quanto sia breve il passaggio dal successo al fallimento e viceversa.
Ha dovuto abbandonare il club della sua vita, in cui era arrivato nei lontani anni Novanta, da svincolato, in quel maledetto 2012, in cui il club fu ceduto a 1 sterlina prima di finire in bancarotta. Dopo 6 anni e un lungo esilio sarebbe tornato nella sua Itaca, quella Glasgow in cui aveva cominciato a giocare esattamente vent’anni prima. Oggi, a 40 anni, McGregor difende i pali di Ibrox con l’agilità e la reattività di un ragazzino. Anche ieri sera è stato decisivo.
La partita di ieri però ha un protagonista assoluto, che risponde al nome di James Tavernier. Una carriera da comprimario, quella dell’ormai trentenne Tavernier: dopo gli esordi nel Newcastle, era finito addirittura al Bristol, in Championship. Tutto è cambiato con l’arrivo ai Rangers, nel 2015.
In sette anni, per Tavernier sono arrivati 81 gol e 106 assist. Nulla di strano, se non che Tavernier di mestiere farebbe il terzino sinistro. Anche ieri sera, da capitano, ha segnato una doppietta, dopo la tripletta di Dortmund contro il Borussia ai sedicesimi. Sette gol in questa stagione europea per lui, che calcia i rigori, ma anche gli altri piazzati, con una precisione quasi “magica“.
La storia dei Rangers è la loro storia. Ma anche quella di Giovanni van Bronckhorst, l’allenatore olandese che ha preso in corsa il posto di Steven Gerrard, o ancora del finlandese Glen Kamara, che durante i gironi, nella partita di Praga contro lo Sparta, venne bersagliato dai buu razzisti dei bambini che occupavano le tribune in sostituzione degli ultras locali, sanzionati a loro volta per razzismo. O ancora del giamaicano Kemar Roofe, o del colombiano Alfredo Morelos, due bomber entrambi assenti per infortunio e sostituiti dal nigeriano Joe Aribo.
Soprattutto, è la storia di un sogno, utopico ma paradossalmente tangibile, capace di legare insieme destini così diversi. Inestricabilmente intrecciati ieri, dalla notte di Ibrox, e per sempre, comunque andrà a finire in questa Europa League.
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