Quanto dura una storia d’amore? Se ti chiami Stefan Radu tredici anni, 401 presenze e 6 trofei vinti. Alla Lazio arrivò nel gennaio 2008. Il tempo di riempire l’armadietto che era già in campo: “Mi fece una grandissima impressione, così lo lanciai subito a Firenze in Coppa Italia. Spesso gli stranieri vanno aspettati, lui no, era già italiano”, ricorda Delio Rossi a gianlucadimarzio.com.
Fu lui a farlo debuttare nella terza delle quattro stagioni trascorse nella Capitale. Difficile quel giorno immaginare che a Udine, la scorsa domenica, 400 partite dopo sarebbe diventato il giocatore con più presenze nella storia della Lazio. Come Giuseppe Favalli, che sembrava irraggiungibile e che invece potrà staccare giocando al rientro dalla sosta con lo Spezia. Non se lo aspettava neanche lui: “Non pensavo di arrivare così lontano”, ha ammesso al Friuli.
Eppure a 34 anni è ancora lì, per la sorpresa dell’allenatore che lo scorso dicembre ha salutato l’Ascoli: “Una storia bellissima. In questo calcio è difficile rimanere per tanti anni nella stessa squadra, e quando accade spesso sei un’alternativa. Lui invece è rimasto sempre protagonista”.
Tredici anni, come quelli attesi dalla Lazio per tornare in Champions League. L’ultima volta ai gironi c’era proprio Delio Rossi. Un doppio preliminare per centrare il traguardo e trovare un giocatore che avrebbe fatto la storia del club: “A quel tempo non avevamo soldi e prendevamo molto scommesse. A volte andavano bene. Lo vedemmo la prima volta nell’agosto del 2007 durante gli spareggi. Era veloce, e soprattutto mancino con una buona tecnica e una discreta personalità. Il problema era che giocava nella Dinamo Bucarest, proprio la squadra che avremmo affrontato nel doppio confronto”.
Arrivo allora rimandato a gennaio. Il 28 arriva a Roma, il 30 a 21 anni è titolare da centrale in coppia con Sebastiano Siviglia (L'INTERVISTA): “Noi giocavamo a quattro, ma già si vedeva fosse ideale per una difesa a tre. Zauri era destro e così lo utilizzai spesso anche da terzino, oggi gli è servito: con Inzaghi lo vedo salire e creare superiorità numerica”.
Rossi, Ballardini, Reja, Petković, Pioli e Inzaghi. Sei allenatori e una costante: Radu ha giocato con tutti e in tutti i ruoli difensivi: “Merito della sua professionalità. Dopo tanti anni molti si siedono perché pensano di avere un diritto acquisito, lui ha ancora voglia di mettersi in discussione e alla sua età gli fa onore”.
Arrivato imberbe e taciturno, ora è uno dei giocatori più amati dalla tifoseria e soprattutto un leader dello spogliatoio. Lo stesso che condivideva con Inzaghi, Tare e Peruzzi, rispettivamente allenatore, direttore sportivo e team manager dell’ultima Lazio di Lotito: “Ai miei tempi i leader erano Peruzzi, Di Canio e Rocchi. Lui non parlava molto, ma si è integrato subito pur senza conoscere lingua e cultura”, ricorda Delio Rossi.
I compagni lo chiamano ‘boss’, simbolo del suo peso dentro e fuori dal campo. Quando non c’è lui la difesa va in affanno. Lo scorso febbraio si è operato di ernia inguinale e la Lazio ha perso tre partite su quattro in Serie A. In campo è sempre l’ultimo a tirarsi indietro, da romeno a romano d’adozione.
Due estati fa, dopa un infortunio alla caviglia e la rottura con il club, era epurato e a un passo dall’addio: “E’ stato il periodo più brutto e buio della mia carriera, la colpa è stata mia”. Poi le scuse e il nuovo inizio ad Auronzo di Cadore. Un litigio come nei matrimoni più lunghi, prima di ritrovarsi ancora insieme.
Da capitano, ma senza fascia. Quella no, non l’ha mai voluta: “Ha personalità ed è benvoluto, ma ha sempre voluto dedicarsi solo al gioco. Un capitano invece ha tanti compiti e deve parlare con il presidente o il direttore sportivo. Poi lui è anche uno fumantino e ha paura di eccedere…”.
Come in quel derby con la Roma del 2011, quando prese tre giornate per una testata a Simplicio. O nel marzo 2019, quando i turni di squalifica furono quattro (poi ridotti a due) per essersi scagliato contro Abisso a causa della concessione di un rigore all’Inter.
Incidenti lungo un percorso in cui non sono mancati i tanti infortuni. Il più grave, nell’aprile 2011, stava per costargli la carriera dopo essersi fratturato la seconda e terza vertebra lombare in uno scontro con Morimoto a Catania.
Anche quel giorno Stefan Radu non si è abbattuto e nel tempo è diventato, con tre Coppe Italia e tre Supercoppe, il giocatore più vincente dell’era Lotito. Compresa una storica finale contro la Roma: “La partita più bella mai giocata”.
Il futuro? Il contratto è in scadenza nel 2022, ma il rinnovo con queste prestazioni è tutt’altro che un miraggio: “Sono tredici anni che gioco e ancora ce la faccio, ho tanta benzina nelle gambe”.
Dalla Nazionale romena, nonostante i lunghi e ripetuti corteggiamenti, si è ritirato nel 2013. La Lazio invece non vuole lasciarla, quella 401 partite dopo è una storia d’amore senza una fine.
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