Nell’estate del 2014 la Juventus lanciò una campagna sui social. L’hashtag era semplice: #Pirloisnotimpressed. Giocando sull’imperturbabilità del suo numero 21, i tifosi bianconeri venivano invitati a inviare le loro performance. Qualcosa che riuscisse a impressionare davvero Pirlo, che nel video usato per il lancio non mostrava alcuna emozione di fronte a ballerini di breakdance, lanciatori di coltelli o surfiste in bikini.
Più che un “Pirlo’s got talent”, quella campagna è stata l’involontaria anticipazione del sabato destinato a cambiare la storia della Juventus. La scelta di affidarsi a un uomo con zero presenze in panchina passa inevitabilmente da quell’hashtag: #Pirloisnotimpressed. Poco importa se in poche ore è passato dalla prospettiva di far crescere i ragazzi dell’under 23 a quella di dover vincere tutto allenando Cristiano Ronaldo. Nessun problema a cominciare dall’alto, subentrando al posto di un allenatore che ha fatto trent’anni di gavetta. Pirlo non s’impressionerà, perché semplicemente è fatto così.
Incapace di avvertire la pressione. Leitmotiv di tutta la sua carriera. Un esempio su tutti: 9 luglio 2006, giorno di Italia-Francia, finale mondiale. “Spesi tutto il pomeriggio a dormire e a giocare alla Playstation. Poi sono uscito e sono andato a vincere la coppa”. Con il joystick in mano ha trascorso buona parte del suo tempo libero da giocatore e anche quel giorno non fu diverso. E in quella serata Andrea fu investito anche da una responsabilità speciale: essere il primo rigorista della sequenza che ci mette ancora i brividi. “Inizi tu, mi disse il mister. Mi sentivo un po’ come Neil Armstrong sulla luna. Avevo davanti il verde di Berlino”. E se il cielo divenne azzurro sopra l’Olympiastadion fu merito anche di quel primo passo. L’ennesimo prodigio di un’estate straordinaria, iniziata con il gol contro il Ghana e conclusa con una corsa senza aplomb verso Grosso, che adesso potrebbe sostituirlo alla guida della Juventus Under 23.
Poche parole, tanti fatti. Pirlo non ha mai avuto bisogno di urlare per guidare il centrocampo. Nessuno è stato mai capace di definirlo meglio di Jorge Valdano, leggenda del calcio argentino. “Quando il pallone passa dai suoi piedi, sembra che l’orologio si fermi. Gestisce i tempi e gli spazi con una serenità da torero”. Quella leadership serena in mezzo all’arena adesso non passa più da una giocata, ma dalla capacità di entrare in empatia con i giocatori stessi. Esattamente come ha fatto Zidane con il Real Madrid e con lo stesso Ronaldo.
L’assenza di saluti social per Maurizio Sarri da parte dei calciatori juventini hanno dato la misura della frattura tra le parti. Andrea Pirlo avrà un supporto formale e sostanziale assoluto da parte della proprietà. La presenza di Andrea Agnelli – seduto al suo fianco alla sua presentazione da allenatore dell’under 23 – diceva già molto. La partita contro il Lione ha accelerato la sentenza su Sarri. Che il 20 giugno della scorsa estate veniva presentato con Agnelli in prima fila. Ma non accanto.
A distanza di cinque anni, Pirlo rientrerà nello spogliatoio della Juventus. “Quindi adesso dovrò chiamarti mister?”, ha scritto Buffon su Instagram, dandogli il bentornato. Il vantaggio di Pirlo è quello di essere già percepito come uno di casa. I legami stretti nei quattro anni di successi in maglia bianconera con i senatori vanno oltre al campo. “Non scommetterei un centesimo su una mia carriera da allenatore”, diceva Pirlo qualche anno fa. Probabilmente anche qualche suo compagno di allora la pensava così e oggi si ritrova a essere allenato da lui.
Nessuno adesso può dire a chi assomiglierà Andrea Pirlo. Ma guardandolo negli occhi, Agnelli si è fidato di lui. Paratici lo ha definito “un predestinato”, sottolineando poi come “le persone siano più importanti del professionista”. Il sottofondo di questa frase è una parola: credibilità.
I campioni parlano sempre la stessa lingua. Per questo non è difficile immaginare ottimi rapporti con CR7. La vera sfida sarà come far crescere – alla prima esperienza – un’intera squadra intorno a lui. Un gruppo che proprio a centrocampo, nella posizione che fu sua, ha mostrato i limiti maggiori.
C’è un’immagine da cui Pirlo riparte. È la sua ultima da giocatore della Juve. Risale al giugno del 2015, finale Champions persa contro il Barcellona a Berlino. Le lacrime dopo la sconfitta, la delusione di aver mancato la ciliegina. Oggi l’Europa è diventata la torta vera e propria per la Juventus. Certo che fa gola il decimo scudetto consecutivo, ma i pensieri sono sempre lì, a quella coppa sollevata per l’ultima volta nel 1996. E al nuovo allenatore si chiederà di ripartire da quelle lacrime di Berlino per non vivere più notti come quella contro il Lione. “La scelta odierna si basa sulla convinzione che Pirlo abbia le carte in regola per guidare, fin dal suo esordio sulla panchina, una rosa esperta e di talento per inseguire nuovi successi”, si legge nel comunicato del club.
Il primo dei nove scudetti nacque, anche, dal suo arrivo. Adesso gli verrà chiesto di fare dieci. Ma anche di dare appeal, estetica e senso d’identità. “Adesso sono c…. suoi”, ha sintetizzato il suo collega e amico di mille battaglie Gennaro Gattuso. Probabilmente Pirlo avrà sorriso, ma senza cambiare faccia. Not impressed.
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