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Il gol dopo il ritiro sfiorato: è tornato Cristiano Piccini

Quando l’ambulanza è entrata a tutta velocità nel centro sportivo di Paterna, Valencia, tutti avevano già capito che l’infortunio di Cristiano Piccini fosse grave. Frattura della rotula del ginocchio destro, avrebbe poi sentenziato un comunicato del Valencia. La prima impressione era giusta: lo stop sarebbe stato molto lungo. Ma così lungo?

Lo scorso 28 agosto, l’esterno italiano ha commemorato con un post i due anni da quel terribile infortunio. “Due anni in cui si è congelato il tempo”, durante i quali aveva giocato solo 123’ totali e tutto il lavoro di riabilitazione, alienante e logorante, sembrava non avere premio. “A volte pareva che stessi per tornare, ma le ricadute non mi davano tregua. C’erano giorni in cui non ne potevo più, volevo smettere”.

E quella ricompensa che non voleva arrivare mai, luce in fondo a un tunnel all’apparenza infinito, alla fine è arrivata. Sabato, quando ha segnato il 2-1 che ha dato al Valencia la vittoria contro l’Elche. Un destro rabbioso, lasciato andare con la violenza di chi sbatte una porta e se la lascia alle spalle. Nell’esultanza tutta la voglia di aprirne un’altra, molto più grande, al di là della quale ritrovare la serenità che aveva perso.

Non doveva nemmeno giocare: reduce dalla sua prima da titolare in un’eternità e passate tante peripezie, la prudenza obbligava al riposo. Poi, i problemi fisici di Lato l’hanno portato ad entrare in campo al 20’. La vita, dopo avergli tolto il calcio per oltre due anni, gli ha finalmente fatto l’occhiolino. 

In mattinata, oltre 15.000 sostenitori del suo Valencia si erano ritrovati fuori dal Mestalla per protestare contro la proprietà, denunciata di aver rubato al valencianismo il suo senso di appartenenza. C’era anche una leggenda come Cañizares ad alzare la voce con loro: neanche lui vede la fine di questa spirale di impoverimento tecnico, dovuta all’ormai consolidato blocco degli investimenti.

Dentro il Mestalla, però, ha prevalso la linea Piccini. Quella del lavoro, in silenzio, contro ogni avversità, perché la luce in fondo al tunnel prima o poi spunta, anche se non sembra arrivare mai. Una filosofia che, però, non è per tutti. Lo dice anche lui, quando ricorda l’infortunio: “Non lo auguro a nessuno, perché in molti non ne sarebbero usciti”. Lui sì, e si spera definitivamente. Intanto è tornato a sorridere ed è già una grande notizia, per lui e, chissà, magari anche per la Nazionale, con cui non gioca da quel maledetto 2019.

Andrea Molinari

Nato a Verona nel 1998, il mio primo ricordo vivido legato al calcio è Shevchenko che sbaglia un rigore contro il Bayern Monaco. Grazie a lui (e anche a Kakà) da piccolo mi sono innamorato del pallone. Ma lui non lo sa. Sì, perchè ho giocato anche, purtroppo senza risultati. Nato attaccante, sono finito a fare il terzino: di solito succede a quelli con i piedi quadrati. Oggi provo a dimostrare questo amore scrivendo.

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