Ecco, qui. Sì, fermate tutto a questo preciso fotogramma. È il 92’ di Fiorentina-Hellas Verona. Moise Kean ha appena segnato il gol del definitivo 3-1. L’attaccante corre verso il pubblico, seguito da tutti i compagni. La gioia pervade l’intero Franchi. Tutto il mondo viola si (ri)unisce di un unico e simbiotico abbraccio. Giocatori, staff, tifosi. Una cosa sola. È forse l’immagine che meglio rappresenta quello che in questi mesi è stato costruito a Firenze.
Perché le ore, seppur poche, da capolista sono solo una conseguenza. C’è di più. Ci sono la continuità di prestazioni e risultati di una squadra, le vibrazioni di una città, l’entusiasmo e la fiducia di un’intera tifoseria. Ed è forse quest’ultimo il segno più grande del lavoro di Raffaele Palladino. E ci è arrivato con gradualità, perché per dare solidità e prospettiva a un progetto c’è bisogno di calma e lavoro. Un avvio difficile, 15 minuti come sliding door di una stagione, l’empatia con il gruppo, le ore di studio: nel mondo analitico dell’allenatore viola.
Parte tutto nelle strade della sua Napoli. Fino ai 13 anni quelle vie gli fanno da maestre. Lì nasce l’amore per il pallone. Un percorso che lo porterà in Serie A. Come calciatore prima, come allenatore poi. Già, un percorso. Il concetto che meglio rappresenta la storia di Palladino. A Monza inizia la sua avventura in panchina. Inizia tutto con le giovanili. Berlusconi e Galliani ne intuiscono le qualità e gli affidano la prima squadra. Esonerato Stroppa, tocca a lui. Il primo appuntamento è contro la Juve. “Vuoi iniziare subito o dopo la sosta?”, la domanda dell’ex presidente. “Subito”. Una vittoria come inizio del viaggio che lo porterà fino alla panchina della Fiorentina.
Incontrarlo in giro per Firenze? Non così semplice. Chi lo conosce ne parla come un uomo le cui giornate sono concentrate in un unico pensiero: il calcio. Il Viola Park è diventato la sua casa, tante le ore passate al centro sportivo per preparare partite, organizzare tattiche, guardare filmati. Nelle (poche) pause ama camminare di sera sul Ponte Vecchio. Uno studio continuo per migliorare la propria Fiorentina. Analitico, attento ai dettagli, maniacale nel curare ogni minimo particolare. Costanza, determinazione, sacrifici.
E pensare che la sua stagione era partita con qualche difficoltà. All’esterno già aleggiavano i primi dubbi. È il calcio, non lascia tempo. L’intervallo nella sfida contro la Lazio la svolta. L’intelligenza di cambiare modulo, dalla difesa a 3 a quella a 4. Da quel momento la Fiorentina non si è più fermata. In Serie A sono arrivati un solo pareggio e 7 vittorie. Quella con l’Hellas Verona è la sesta consecutiva. 25 punti, secondo posto e una città che sogna.
“Amo tutti i miei giocatori”. Una frase chiara. Un manifesto di una filosofia. Essere Raffale Palladino. Da una parte il campo, dall’altra i rapporti umani. Quello con i suoi giocatori è un rapporto costruito sull’empatia. E lo si vede dalle prestazioni e dall’unione della squadra. Lo dimostra la crescita avuta da tanti giocatori. Moise Kean ne è l’esempio principale. Responsabilizzazione, consapevolezza e fiducia nei propri mezzi: è una Fiorentina diversa. Ed è anche grazie a quell’uomo seduto in panchina, Raffaele Palladino.
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