La nostra intervista all’ex calciatore italiano che ha vissuto in prima persona – da giocatore prima e da allenatore poi – la realtà del calcio in America
Una crescita, lenta ma efficace. Step by step come direbbero da quelle parti. Il netto 3-0 degli Stati Uniti contro l’Italia ai Mondiali u20 non è un caso. “Hanno un potenziale enorme. Vogliono fare le cose in maniera ragionata, ma in prospettiva fanno paura perché hanno le strutture. Hanno i soldi e soprattutto idee”. Prima in campo (con gli Orlando), poi da allenatore (a Miami e Las Vegas). Antonio Nocerino conosce bene la realtà americana. E sa che nulla è nato per caso.
Ma dove sta la vera differenza? Secondo Nocerino non ci sono dubbi: “I giovani giocano nella MLS Next Pro – la seconda divisione, per intenderci – e si allenano stabilmente con la prima squadra. Alcuni giocano anche in MLS senza problemi. Fisicamente sono tre volte superiori ai nostri. Ma soprattutto hanno un senso di appartenenza per la loro Nazionale maggiore rispetto al nostro. Mentalmente sono devastanti, ci mettono una voglia incredibile”.
Nel Paese in cui basket, football e hockey sono considerati dei veri e propri sport nazionali, anche il calcio fa parte della cultura pop. Tutto merito di “Beckham”. E Nocerino ci spiega anche il perché: “Quando è arrivato lui, ha aperto le porte a una strada diversa. Ma non è andato in vacanza, giocava davvero forte”.
Il processo di crescita negli USA è unico nel suo genere. Il talento – tecnico e umano – viene coltivato nell’Academy. “I giocatori sono atleti. La preparazione per il ‘mondo dei grandi’ è completamente diversa. In questo momento non vedi una differenza tecnica, ma più fisica. Sanno quello che devono fare. E lo fanno con grande efficacia”. Parola d’ordine, osare. “In MLS ti buttano dentro. E se sbagli, cresci e continui. Senza paura”. E così il “progetto” Cremaschi diventa un caso di studio riconoscibile. E autentico. Per un processo americano che non ha intenzione di fermarsi. Sempre passo dopo passo.
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