Da Giakarta alla Brianza ci sono 3mila chilometri e sei ore di fuso orario. Distanze solo fisiche. “È il primo pensiero ogni giorno. Ho lì i miei familiari, gli amici. Per fortuna stanno bene, ma intorno a loro so bene cosa sta succedendo. Sono entrato a Zingonia a 7 anni, ne sono uscito a 20. Bergamo è casa mia. Lì ho iniziato, lì ho sempre pensato di chiudere la carriera. Vedere che è una città fantasma fa malissimo. Sono fortunato, perché qui per ora l’emergenza è lieve”.
Marco Motta ha 33 anni e una vita passata a correre sulla fascia destra. Ovunque, non solo in Italia: Inghilterra, Spagna, Cipro e ora Indonesia. A gennaio è stato acquistato dal Persija Giakarta, la squadra più gloriosa dell’Indonesia. Due anni di contratto e una nuova avventura. “Qui il campionato era iniziato da tre settimane. Abbiamo giocato ieri e poi è arrivata la decisione di fermarsi. I casi non sono molti, ma è giusto avere la massima prudenza”, racconta al microfono di gianlucadimarzio.com.
Il suo Persija ha giocato in trasferta a porte chiuse poche ore fa, ma il virus non c’entra niente. “Solo motivi di ordine pubblico: siamo la squadra con più tifosi dell’Indonesia e l’impianto del Bhayangkara è troppo piccolo per accogliere un esodo dei nostri supporters. Nel resto del Paese si è giocato regolarmente a porte aperte”.
Ora è arrivato lo stop di due settimane deciso dalle autorità locali, dopo un pareggio in trasferta, un rinvio e una vittoria all’esordio nell’impianto di casa. “Uno stadio incredibile: ero stato qui con la Juve nel 2014, mai avrei pensato che sarebbe diventato il mio”. Il Gelora Bung Karno, 77mila posti, quasi sempre interamente occupati. “Impressionante. Solo l’Olimpico o San Siro pieni mi hanno fatto lo stesso effetto. E poi sai qual è la cosa più curiosa? La Jakmania, la parte più calda della tifoseria, è in curva nord”. Come a Bergamo, ma a Giakarta, “la New York dell’Asia: 15 milioni di abitanti, strutture all’avanguardia, ristoranti splendidi e un traffico irreale. Io ho vissuto a Roma due anni, uno scherzo in confronto a quello che vedo qui”.
Lì vive con la moglie spagnola e i loro figli piccoli. “Ho iscritto mio figlio, che ha 4 anni, alla scuola materna. Sembra un campus universitario: piscine, campi da calcio, teatri. Per andarlo a prendere serve il badge. È un mondo avanzato”. Avanguardia, anche nei tentativi di arginare il contagio. “Il governo sta pensando di portare i contagiati sull’isola di Galang, a nord. È previsto uno stanziamento di fondi per creare lì una struttura, isolando lì il virus”. Confinare il Covid-19, un’idea che verrà valutata se dovessero crescere i casi come in Europa. Da noi il calcio si è fermato dopo una resistenza che ha fatto discutere. “Come dice Guardiola, il calcio senza tifosi non è calcio. Purtroppo non è più solo uno sport, ci sono troppi interessi e prendere decisioni drastiche è complesso. Per questo si temporeggia e oggi possiamo dire che è stato un errore. Forse se anche da parte dei calciatori fosse emersa una posizione unanime, lo stop sarebbe arrivato prima, ma è troppo facile dirlo adesso da qua. Però certo si è scollinato in una situazione che ha portato ulteriori problemi oggi”.
Problemi che dall’Indonesia sembrano lontani, per quanto l’attenzione si stia alzando. E sul profilo Instagram del club, Marco ha fatto da testimonial per spiegare quali precauzioni prendere. “Noi italiani adesso siamo associati al coronavirus e siamo visti sempre come riferimento sul tema, purtroppo. Passerà e dopo saremo ancora più forti come popolo”. Cartolina da Giakarta, a venti ore di volo dalla Lombardia. Distante e unito.
Credits foto: Persija Jakarta
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