Uno stadio in piedi, una sola maglia addosso: “Moretti, 24”. Torino-Lazio è solo da contorno: la scena è tutta sua. 600 partite più una tra i professionisti e il coraggio di dire “basta” quando la sua società gli aveva già proposto il rinnovo per un’altra stagione. Perché è vero che l’età avanza, ma in sei anni a Torino Moretti è riuscito a fare la storia. Partiva quasi sempre da prima riserva, chiudeva da titolare. O meglio, ha chiuso da titolare. Anche se ieri, contro la Lazio, non se l’è sentita.
Troppa l’emozione, troppe le lacrime. Aveva già pianto mercoledì scorso, nella conferenza stampa che sanciva il suo addio dal calcio giocato. Non ce l’ha proprio fatta nemmeno durante il riscaldamento, l’ultimo della sua carriera: lo speaker dello stadio lo chiama sotto la Curva, lo aspettano i tifosi. Hanno una maglia addosso, la indosseranno poi tutti i giocatori a fine partita. La scena è sua, tutta sua. Come nemmeno l’attaccante più importante della squadra. Come nemmeno il giocatore più importante della rosa.
Ma il calcio, soprattutto quello recente, ci ha abituato a questo: commuoversi nel vedere la commozione. Quella vera, sincera. Quella di chi è stato una colonna e un riferimento per tanti giocatori. “Mister, fai giocare Bremer con la Lazio: non ce la posso fare”, ha detto il giorno della rifinitura Moretti a Mazzarri. Niente maglia dall’inizio, ma un ingresso in campo al posto di Belotti, che gli ha ceduto la fascia per i 10’ finali. In sei anni, per lui, è cambiato tutto. Chi lo conosce, sa che bene che la prima dote dell’Emiliano calciatore (e uomo) è la coerenza: “Non mi vedo nel calcio, in futuro. Quando smetterò di giocare, e prima o poi dovrò farci i conti, io e la mia famiglia torneremo a Firenze. La nostra città. E lì cresceremo i nostri figli”.
Ci ha fatto i conti, sì, ma non con quello che sarebbe stato il suo trascorso nel Toro. E ha cambiato idea. Basti pensare a quello che è successo. Per prima cosa, ha fondato una Scuola Calcio in collaborazione con Casa UGI per aiutare i ragazzi che stanno combattendo la partita più dura di tutte, quella contro il cancro. Poi, ha trovato il suo ambiente: i tifosi che lo adorano, la famiglia che ama la città e i figli che non hanno nessuna intenzione di cambiare scuola (una fa le elementari, l’altro è alle medie).
E così, Moretti resta. E riparte da Torino. “Quel saluto dello stadio è stato inspiegabile”, commenta a caldo, con la voce ancora rotta dall’emozione. “Ma adesso si ricomincia da zero: ho da imparare un sacco in questo mondo tutto nuovo”. Perché ha cambiato idea, sì, ma resta coerente: sa che non potrà improvvisare. Le lacrime diventano sorriso, la tristezza nuova ambizione. Non ha vinto molto, ma resta un vincente.
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