Categories: Interviste e Storie

Il Tango e Diego

Un, due. Un, due, tre.

Musica, maestro: su in alto…

…e a terra, senza farmi male, uno scarpino slacciato fa da cuscino. Come quando eravamo bambini, a Lomas de Zamora, dipartimento di Buenos Aires. Tutta quella gente non c’era, né l’erba sotto i piedi. Ma noi, Diego, ci siamo sempre bastati a vicenda. È sempre stato così. Ricordi all’Argentinos? Non avevi che 11 anni quando finimmo per la prima volta in tv, a quel varietà che andava tanto per la maggiore. Mica per una partita, no. Ci vollero perché giocavamo insieme, come in questo momento.

Ma si sa, è quando si fa sul serio che i grandi si accorgono veramente di te: al debutto in prima squadra, 20 ottobre 1976, dissi che “fu come toccare il cielo con un dito”. Devo dire che anch’io rimasi un po’ sorpreso, per quanto bene ti conoscessi. Mi hai insegnato a fare cose che non credevo possibili. Volare in porta da centrocampo. O dalla linea laterale – al River brucia ancora quel Superclasico. Boca, Barça, Napoli. Traiettorie nuove, mai per caso: ‘morbido’ può valere più di ‘forte’.

E la faccia dei portieri! Nell’85 erano bastate due settimane, mi sembra ieri. Quello del Verona, in fondo al sacco. E quell’altro, della Juve, su punizione: credeva fossimo troppo vicini… La parte più bella però non è quando tiri o mi fai filtrare. Ma quando mi nascondi, mi difendi dagli altri. Come se fossi l’unico a sapermi trattare.

È così. Anche a costo di prender le botte, tanto voliamo e non ci prendono mai: ti ricordi quella fuga in Messico, 22 giugno 1986? Qualche minuto prima stavi per coprirmi di imbarazzo, Diego. Con la mano, davvero, si può anche così? Se lo dici tu…

È per quello se poi abbiamo corso liberi. Mi perdonino gli inglesi: mi avranno anche creato loro ma io mi diverto con te. Tu mi accarezzi. Anche se ormai, diamine, non abbiamo neanche un po’ di tempo tutto per noi. Chi ci è attorno pretende, si capisce. E quindi questi cinque minuti, oggi, sono speciali. Live. Is. Life.

Non è come quella prima volta a Napoli, 5 luglio 1984 – per certe date ho memoria, lo so. Lì mi avevi fatto danzare per conquistarli: erano 84mila e anche più che ci aspettavano. Ora invece ci conoscono tutti. Tu sei D10S. E c’è un’altra coppa, che non hai mai vinto, dietro l’angolo che ti aspetta. Ma tu mi fai fermare sulla tua testa. Non ci dev’essere un perché.

Battiamo le mani. Fra poco toccherà mettersi in ghingheri, calcio d’inizio e di nuovo al lavoro. E anche domani e dopodomani, fino a quando te lo lasceranno fare. Non durerà in eterno, purtroppo. Questi cinque minuti invece sì. Ora lo so: io per te valgo più di tutto. Hop! Ultimo tocco oltre il sipario, Monaco di Baviera come il Teatro Colón.

Dissero che il tango è un pensiero triste che si balla. E allora io, Tango, sono un pallone felice, perché Maradona ha ballato con me. Na-na, na-na-na.

 

Francesco Gottardi

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