Urla e si incazza, sgrida e richiama. Poi corre, ed è l’unica cosa che lo stop non ha cambiato. Perché in un Olimpico vuoto, il rumore di un sogno sono i passi veloci sull’erba, verso l'impensabile.
Inzaghi esulta così, lo fa da sempre, 50 metri di scatto da panca a curva, fino all’area apposta. Oggi non ha cambiato rito, e nel finale è stato pure espulso per eccesso di foga: "È stato un momento di nervosismo, mi dispiace". Contro il Toro, in panchina, ci sarà il vice Farris.
Luis Alberto segna e Inzaghi scatta, lo insegue, poi lo abbraccia. E tre secondi dopo lo richiama. “Luis, Luis”. Come Tucu, Ace, Manu, Ciro, Sergio. Il gruppo in breve, i diminutivi che squarciano il silenzio dell’Olimpico, deserto e surreale.
La Lazio soffre, butta 45 minuti e passa in svantaggio, ma si libera della Fiorentina con 2 gol nella ripresa, riscattando la sconfitta con l’Atalanta. Nelle ultime 23 partite, ha perso solo una volta. Apre Immobile, 28 gol in campionato, chiude Luis Alberto, quinto centro. Coppia magica.
Ribery illude, segna un gran gol (il secondo ai biancocelesti dopo quello col Marsiglia 15 anni fa), ma la Viola accusa e cala.
La Lazio rientra in campo prima della Fiorentina e li aspetta in campo. Una scena da Lazio-Verona del ’74, quando la banda Chinaglia, sotto di due gol, aspettò i gialloblù senza andare negli spogliatoi. Stessa rimonta. Inzaghi a -4 dalla Juve a dieci gare dalla fine, il sogno Scudetto è ancora vivo.
La corsa di Inzaghi è uno schiaffo alle critiche affrettate, ma anche un messaggio chiaro: il gruppo c’è. Magari un po’ annebbiato, forse da rispolverare, meno brillante, ma c’è.
Come il pubblico, in un certo senso, grazie all’iniziativa della Lazio: tifosi finisco sui maxischermi, a cantare ‘So già du’ ore’ da casa, a tutto volume, amplificati dall’eco dello stadio. Una carica, come il “non sarai mai sola” in tribuna Tevere e le fotografie dei tifosi. Lontani, ma vicini.
Perché in quei 50 metri di Inzaghi c'è tutta la Lazio, in quell'abbraccio un po' di normalità, alla ricerca dell'eccezionale.
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