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La lunga attesa di Klopp, tra nascondino e vendette

Ho perso molte finali nella mia vita, il Real le ha vinte tutte“. Ha un’espressione mista di furbizia e rimpianto, Jurgen Klopp, mentre pronuncia le parole più attentamente soppesate della lunga conferenza stampa della vigilia della finale di Champions. 

 

Il suo Liverpool ha un conto in sospeso con i blancos: la finale di Kiev, nel 2018, causò rabbia (per l’intervento di Ramos su Salah), desolazione (per gli errori di Karius), polemica (l’etichetta di “loser” che si appiccicava ancora una volta a Klopp). Oggi i Reds devono scacciare un brutto ricordo, allontanare gli ultimi fantasmi rimasti dopo quella sera. 

Liverpool-Real Madrid, i fantasmi di Klopp

Era il 26 maggio del 2018, e intorno alle 22:30 il Liverpool capì che tutto era perduto. Ma la sensazione dell’imminente catastrofe era forte, presente nei Reds fin dalle 21:00 circa. Sergio Ramos aveva stretto Salah in una morsa, e l’egiziano era dovuto uscire in lacrime alla mezz’ora di gioco con una spalla fuori uso. Un segno nefasto, il primo di molti. Come andò nei minuti successivi se lo ricordano tutti: i due clamorosi errori del portiere Karius che consegnarono a Benzema prima e a Bale poi degli assist irresistibili sono già tracce indelebili nel mito delle finali di Champions. 

 

Klopp usciva affranto, svuotato da quella finale. Aveva dato fiducia al suo connazionale, ne scopriva per la prima volta la fragilità tecnica e psicologica. Non lo ammise, ma a fargli ancora più male era il sospetto, insidiatosi nella sua mente, che il fallimento fosse incorporato alla sua natura di allenatore, l’unico esito possibile dei suoi sforzi. L’unica dimensione che avrebbe mai esperito in carriera, almeno in Europa. 2013: finale di Champions Bayern-Borussia, persa. 2016: finale di Europa League Liverpool-Siviglia, persa. 2018: finale Champions Liverpool-Real Madrid. Persa. Il suo proverbiale sorriso a 36 denti si era spento sotto alla doccia di coriandoli bianchi della decimo-tercera di Zinedine Zidane

Il trionfo, la vendetta

Poi c’è stato Madrid – leggasi Wanda Metropolitano – con allegato il trionfo contro il Tottenham, in una delle partite giocate peggio dal suo Liverpool in tutta la sua gestione. A Klopp, a quel punto, mancava un solo tassello: riportare il Liverpool sul trono d’Inghilterra dopo ben 30 anni. Ce l’ha fatta nel 2020, l’anno della pandemia e degli stadi chiusi. Cosa volere di più? Eppure Klopp non è mai pago, e il motivo è uno solo: si diverte. Ha detto più di una volta di non voler consacrare i prossimi decenni alla professione, al football, ma nessuno gli crede: per chi coltiva ogni giorno la gioia del vivere, il tempo passa più velocemente. 

 

Come hanno ricordato in Spagna in questi giorni di attesa, un tifoso quarantenne del Madrid non ha mai visto la sua squadra perdere una finale. C’è questo, dietro alle parole di Jürgen: la consapevolezza dell’infrangibile corazza europea del mas grande del mundo. Ma c’è anche altro. Un malcelato desiderio di rivalsa, innanzitutto. L’esigenza scaramantica di nascondersi (ha anche detto che “il campo non è in perfette condizioni“). Ma mentre la lancetta scorre, e l’attesa si fa sempre più nervosa, Klopp farà come il collega Ancelotti: un ultimo sguardo alle facce dei suoi calciatori, una parola di conforto. E poi un’altra attesa, più breve solo per chi crede in quell’illusione umana chiamata tempo: novanta minuti, forse qualcosa in più. Poi solo la pienezza del giubilo, o l’amarezza del dejà-vu.  

 

Andrea Monforte

Classe 2000, monzese (d’adozione), studio Lettere a Milano. Un’indomita ed ereditaria passione per lo sport (calcio, ovviamente, ma anche ciclismo), declinata in “narrazione” tecnica e sentimentale: la critica della complessità come antidoto alla semplificazione. La vaghezza del ricordo personale ha reso l’azzurro del cielo di Berlino 2006 un’indelebile traccia mitologica. Sono nato lo stesso giorno di Ryan Giggs e di Manuel Lazzari, ma resto umile.

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