Non sarà stato facile per lui. Uomo d'orgoglio, José Mourinho, sanguigno e mai arrendevole. Piace al Tottenham, piace alla Premier, dopo quasi 12 mesi di assenza. Il Manchester United, in un 18 dicembre che il portoghese non dimenticherà facilmente, aveva deciso di esonerarlo, dopo il 3-1 rimediato ad Anfield dal Liverpool e con un ottavo di finale di Champions League ancora da giocare. Il sesto posto in campionato è troppo poco se si pensa al potenziale di fuoco a sua disposizione, gli undici punti di ritardo rispetto al Chelsea quarto (ultima posizione buona per la qualificazione in Champions) un ostacolo che probabilmente non verrà comunque superato entro fine stagione. Eppure, probabilmente, era giusto cambiare. Per lo United e, forse, anche per Mou, arrivato al terzo anno sulla panchina dei Red Devils e, come praticamente gli è sempre successo in carriera, esonerato proprio al campionato numero 3 con la stessa squadra. Nonostante la storia con lo United fosse iniziata tutt'altro che male.
Per la seconda volta non arrivava in una squadra che faceva la Champions, ma l'Europa League/Coppa UEFA. Contratto fino al 2019, con opzione fino al 2020. Lui arriva, si porta Ibrahimovic ("Sarei andato in guerra per lui") e riparte dalla Premier dopo l'esonero della stagione precedente… al Chelsea. Erede di Ferguson, a prescindere da Moyes e van Gaal, il manager che serviva allo United per rinascere dalle proprie ceneri. Pronti, via ed è subito Community Shield sul Leicester. Proprio grazie a Ibrahimovic, decisivo anche a febbraio 2017 in finale di Coppa di Lega: doppietta al Southampton di Gabbiadini e secondo trofeo. Ne arriverà anche un terzo, a maggio, il più importante: proprio quell'Europa League che era diventata di vitale importanza dopo il sesto posto finale, l'unico modo per entrare in Champions League. Manca Ibrahimovic infortunato? Non importa: 2-0 all'Ajax ed eccolo lì, a baciare la coppa, come nel 2003 con il Porto.
Rooney torna all'Everton (ora è al Derby County), Ibrahimovic resta fino a marzo 2018 ma parte con l'handicap dell'infortunio: Mou cerca una punta centrale. Così il mirino si indirizza verso Madrid e quell'Alvaro Morata alla ricerca di un posto fisso da centravanti in un top team. Offerta recapitata e… arriva Lukaku. Lo spagnolo sceglie la corte di Conte, il manager portoghese ripiega su quel "9" che aveva lasciato andare via proprio ai tempi del Chelsea. Il belga non basta a vincere la Premier, obiettivo conclamato per Mourinho, stanco di veder trionfare sempre il rivale di una vita Pep Guardiola, a fine anno comunque vincitore del campionato. In Champions? Una débacle, con l'eliminazione agli ottavi contro il Siviglia, dopo aver vinto il girone di qualificazione. Troppo poco, considerando anche l'arrivo a gennaio di Sanchez (quante volte è stato insieme a Lukaku a Manchester!), strappato proprio a Guardiola e al Manchester City…
La mano protesa verso l'orecchio: "Non vi sento". I cori non certo amichevoli ricevuti in Champions League contro la Juve racchiudono la personalità, il carattere, l'ego, di Mourinho. Un gesto di scherno? No, una difesa, dopo la vittoria per 1-2 in rimonta allo Stadium di Torino, prima sconfitta per i bianconeri, in seguito allo 0-1 dell'andata a Old Trafford nel girone di qualificazione. Prima, comunque, la squadra di CR7, coi Red Devils al secondo posto e quindi qualificati, anche grazie al gol di Fellaini contro lo Young Boys, che ha fatto letteralmente esplodere il portoghese. Il tutto mentre in campionato le cose non sono mai andate nel senso desiderato. Liverpool, City, Tottenham, Chelsea e Arsenal sembrano fare un campionato (seppur non allo stesso ritmo) a parte, rispetto a quello dello United, mai in lotta per il quarto posto, obiettivo minimo per chi è reduce comunque da un secondo posto in Premier League. Il 3-1 subito ad Anfield è stato l'ultimo atto, con il sorteggio di Champions di Nyon l'ultimo evento "formale" con José Mourinho allenatore del Manchester United. Poi l'esonero e la fine della storia tra Mou e i Red Devils, con 895 giorni di vita insieme, tra il centro sportivo, Old Trafford e… l'hotel, in cui il portoghese alloggiava. Nessun trasloco, nessuna casa, solo la stessa stanza d'hotel per due anni e mezzo. Con 537 mila sterline spese in mance per il personale. Con un rapporto ormai logoro con la piazza, soprattutto con quel Paul Pogba (che poi ha cambiato idea) voluto proprio dal portoghese.
È un dato di fatto oggettivo. José Mourinho è un allenatore che, storicamente, lavora molto meglio su base biennale. Lo dice la sua carriera, lo dimostrano i numeri: al Porto arriva a dicembre, capisce i meccanismi e l'anno dopo vince la Coppa UEFA, per poi trionfare in Champions League nel 2004, con due campionati di Portogallo, una Coppa e una Supercoppa in bacheca. Al Chelsea (con cui vince tanto, ma solo in patria, riportando la Premier League dopo 50 anni dall'ultimo successo già al primo anno) dura 3 stagioni e due mesi, con il terzo anno difficile (ma con la vittoria della FA Cup) e il quarto che finisce praticamente a inizio stagione. All'Inter, il biennale firmato nel 2008 scade con la vittoria della Champions League e del Triplete, che mandano Mourinho in Paradiso prima di approdare al Real Madrid. Coi Blancos vince una Liga (due secondi posti), ma mai in Europa: tre semifinali di Champions su tre, nessuna finale. Trionferà anche in Copa del Rey e in Supercoppa spagnola, unico trofeo al terzo anno. Poi il ritorno al Chelsea e la storia che si ripete, con l'esonero alla terza stagione con 16 punti in 16 giornate, dopo aver comunque rivinto la Premier.
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