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Pedri, l’adolescente di cui la Spagna non può fare a meno

Aveva diciassette anni, arrivava dalla Seconda Divisione spagnola, era bassino ed esile: fra gli otto gol presi dal Bayern e l’addio minacciato da Messi, a Barcellona l’arrivo di Pedro González López, per tutti Pedri, aveva lasciato tutti indifferenti. Certo, poi però c’è il campo, e lì il ragazzino ci ha messo qualche decina di minuti a lasciare incantati i tifosi culé. L’etichetta di “Nuovo Iniesta” era pericolosa, ma inevitabile per il trattamento della palla che il canario ha sfoggiato sin da subito.   

Il paragone con Iniesta, in giro, ormai si sente sempre di meno. Un po’ perché, per la quantità di meraviglia che ha già dispensato nella sua prima stagione fra i grandi, si è già guadagnato il diritto di essere solo “Pedri”; un po’ perché la comparazione, per quanto possa sembrare paradossale, può stargli anche stretta. Mentre lui ci ha messo una stagione a 18 anni per giocare la cifra spropositata di 52 partite con il Barcellona, Don Andrés ha tagliato questo traguardo sommando le sue prime tre stagioni, con due anni in più sulla carta d’identità. Certo, ciò che ha ottenuto in carriera non è ancora paragonabile, ma questo è un primo dato.

L’indispensabile della Spagna

Pedri, infatti, spicca per il talento, ma si differenzia da ogni suo coetaneo per una qualità ben più rara alla sua età: la maturità. Anche Luis Enrique lo ha capito, e in una roja il cui undici è cambiato spesso ha deciso di consegnargli le chiavi del centrocampo per il palcoscenico più importante.

Un protagonismo reso evidente dai dati: in un torneo in cui la Spagna è andata due volte oltre il 90’, la mezzala ha giocato tutti i minuti tranne uno, cambiato alla fine della gara con la Svezia solo per far calciare il rigore a Rodri. Sulla linea di centrocampo, quella più importante per la filosofia spagnola, nessuno ha timbrato il cartellino più di lui (Koke è il secondo e ha fatto 95 minuti in meno) e, in generale, solo il portiere Unai Simón e Aymeric Laporte hanno giocato tutti i 510 minuti a disposizione.

Insomma, se a noi comuni mortali avessero dato tutte queste responsabilità da adolescenti, chissà che disastri avremmo combinato. Ma Pedri – l’aveva già dimostrato nel Barça – si potenzia con le responsabilità e risponde alla pressione a colpi di passaggi smarcanti (“Lui sente la pressione solo fuori dal campo”, ci aveva raccontato il DS che lo ha scoperto). E non a caso, Luis Enrique può fare a meno di chiunque, ma non di lui. L’Italia è avvisata.

Una stagione infinita

Tanto gli piacciono le responsabilità che Pedri non ha intenzione nemmeno di prendersi una vacanza. Dopo 52 partite con il Barcellona, otto fra Nazionale maggiore e U21 prima dell’estate e minimo altre sei all’Europeo (non ce ne voglia, speriamo che non aumentino), il canario ha infatti accettato anche la chiamata di De La Fuente per le Olimpiadi di Tokyo. Ciò significa che finirà la sua prima stagione nel calcio dei grandi avendo collezionato oltre 70 partite. Se non fosse appena maggiorenne, si potrebbe parlare di sfruttamento minorile.

Che sia un predestinato, ormai è chiaro a tutti. Ed è vero che il paragone con Iniesta non pesa più, ma oltre ai trofei, fra le altre cose, c’è un altro vuoto da colmare: quello dei gol pesanti con la roja. Ma, visto che la carriera è ancora molto lunga, perché non rimandare l’appuntamento a fra qualche anno? Un consiglio disinteressato.

 

Antonio Cefalù

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