"Quando mi hanno detto che ero positivo? Mi sono detto: Mattia, non potevi farti mancare anche questa. Ma ho cercato di essere positivo in tutto, compresa la reazione psichica", esorcizza Mattia Perin, che di problemi fisici ne ha passati molti.
Perin è stato il primo contagiato del Genoa, ma non si sente, assolutamente, il responsabile di quanto accaduto in casa rossoblù: "Questa è una malattia subdola, la puoi prendere in taxi, oppure schiacciando il bottone di un ascensore. Nella mia famiglia sono tutti negativi. La verità è che in una dozzina di ore cambia il quadro clinico, neppure gli specialisti sanno molto del Covid19. E sia chiaro che il caos di Juve-Napoli non è iniziato per colpa del Genoa", dice a Repubblica.
Il numero uno genoano prosegue chiedendo più rispetto, "poteva accadere a chiunque. Di sicuro, se ci fossimo chiamati Real Madrid, Inter o Juventus, saremmo stati rispettati di più. Sia chiaro che la malattia non è mai una colpa, ma un’eventualità che accade agli esseri umani".
"Siamo molto scrupolosi. Nessuno toglie la mascherina, rispettiamo regole e distanziamenti, poi è chiaro che in campo veniamo a contatto, è inevitabile". Perin, poi, tiene a chiarire un concetto diffuso: "Basta con i cliché del calciatore ricco, viziato, privilegiato e menefreghista! Ho letto giudizi molto superficiali".
Il calcio deve andare avanti, e Perin è della stessa idea di Chiellini: "Noi giocatori siamo pronti a prenderci dei rischi". "Giorgio ha ragione. Il calcio non è solo uno svago, un passatempo: come dice Sacchi, è la cosa più importante tra le meno importanti. I miei nonni e i miei genitori avevano un bar in un quartiere popolare di Latina, io sono cresciuto ascoltando discussioni sul calcio e ho capito cosa rappresenta per tanta gente". Proseguire, nonostante l'assenza di pubblico: "Tristissimo. Gli stadi vuoti mi fanno piangere il cuore. La pandemia ci ha dimostrato che i tifosi sono essenziali quanto e più degli atleti, compresi i tifosi avversari", conclude Perin.
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