“Non abbiamo ancora ottenuto nulla, ma almeno abbiamo suscitato la speranza di avere ancora una possibilità“. Alexander Blessin, arrivato a Genova a gennaio, non ha dubbi sul percorso svolto in questi mesi. L’allenatore si è raccontato in una lunga intervista al quotidiano tedesco Kicker, ripercorrendo la sua esperienza in rossoblù: “Io stesso sono rimasto sorpreso e soprattutto grato per la rapidità con cui i giocatori hanno accettato e interiorizzato il nuovo stile. Non siamo una squadra di possesso palla, siamo una squadra di caccia”.
Blessin si ferma e ripercorre questi mesi, a partire dal suo arrivo in Italia. Le differenze, dalla lingua alla parola mister: “Continuo a ridere e ancora non riesco ad abituarmi al fatto che gli allenatori qui si chiamano così”, e le diversità nel mondo calcistico: “L’Italia è conosciuta come un calcio molto tattico. Un ex giocatore passato al Bologna dall’Oostende (ex club di Blessin) mi ha detto recentemente: ‘Signor Blessin, lei ha già lavorato molto con il video e la tattica. Ma il calcio è il coronamento.’ Quindi, quando sono arrivato qui, sono rimasto sorpreso: non c’era davvero una bacheca tattica da nessuna parte. La prima azione è stata quindi quella di ottenere cinque battute”.
“I tifosi erano a terra”, continua Blessin: “Poi è arrivato uno sconosciuto allenatore tedesco che nessuno aveva sui radar. Per l’amor di Dio, la discesa è inarrestabile! Ad ogni partita, però, sugli spalti tornavano la fede e la passione. La squadra se lo meritava. Finché è matematicamente possibile, credo nel restare in piedi perché credo nella qualità della rosa. La gara contro la Salernitana l’avremmo dovuta vincere, è finita 1-1 e al fischio finale c’era ancora la standing ovation. In quel momento ero imbarazzato. Qualcuno del consiglio di amministrazione si è seduto accanto a mia moglie sugli spalti e ha detto: ‘vogliono questo, deve andarci adesso’. Poi ha fatto segno che dovevo recarmi sotto la curva, ed è molto difficile rifiutarla. Un brivido mi corse lungo la schiena. Sono momenti ed emozioni che non dimenticherò”.
L’allenatore del Genoa poi ripercorre quella chiamata di Johannes Spors, che lo portò in Italia: “Avevo avuto colloqui con l’Inghilterra la scorsa estate, ma sono falliti a causa del permesso di lavoro. Per farlo, avrei dovuto continuare in Belgio altri due anni. Ma non c’è mai stata davvero un’offerta. In inverno Johannes Spors, che conoscevo dai miei giorni a Lipsia e che apprezzo molto, mi propose il Genoa. Circa una settimana dopo, il telefono squillò di nuovo. Dovevo solo cogliere questa possibilità. Sono salito sull’aereo privato direzione Italia, guidato l’allenamento il giorno successivo e 48 ore dopo, la prima partita. È stato davvero un sogno. A volte devo ancora darmi un pizzicotto al mattino”.
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