Italia e Tagikistan. Due paesi agli opposti, divisi da quasi 5mila km. Una tratta calcisticamente inesplorata, fino a qualche mese fa. Il pioniere si chiama Francesco Margiotta. Attaccante classe 1993, una vita tra Lega Pro e Svizzera prima dell’avventura asiatica. Nessun legame di parentela con Massimo, ex bandiera del Perugia. Nei bagagli tanta voglia di mettersi in gioco in questa nuova esperienza: “Sono qui per giocare la Champions asiatica“, racconta ai microfoni di gianlucadimarzio.com.
La squadra di Margiotta si chiama Istiklol, un’autentica corazzata che vince il campionato nazionale da 10 anni consecutivi. “Mi ha contattato un intermediario della Russia. – racconta Margiotta – Dopo qualche chiacchierata con lui e il mio agente abbiamo deciso di cogliere questa opportunità. Ho firmato con loro per un anno, raramente qui si fanno accordi più lunghi”. Scelte di calcio, ma anche di famiglia: “Prima di venire qui ho parlato con mia moglie. Abbiamo un figlio piccolo. Se mi diceva che non sarebbe venuta con me non avrei mai accettato“.
Cambiamenti drastici. La vita a Dušanbe, capitale del paese e sede dell’Istiklol, è molto differente da quella a cui era abituato: “Nell’ambientarmi sto trovando un po’ di difficoltà. Le abitudini sono completamente diverse dall’Italia. Sul cibo, sul socializzare. Prima di entrare in campo si fa sempre una preghiera. Poi le persone sono molto chiuse rispetto all’Italia, fare amicizie non è facile“. Barriere culturali e anche linguistiche, su cui Francesco scherza su: “Qui parlano solo russo. Nessuno conosce l’inglese, non che io lo sappia ma un pochino me la cavo“.
A livello calcistico, il Tagikistan è una realtà giovane e in piena evoluzione: “Come livello siamo su una Lega Pro. I calciatori giocano molto in maniera individuale. Fanno tanti tocchi, cercano spesso l’uno contro uno. Sono abituati così. Come infrastrutture non sono male, ma sui centri sportivi sono un po’ indietro: mancano palestre, centri per la fisioterapia…“.
Provare nuove esperienze fa parte del dna di Margiotta. Nella sua carriera, l’attaccante conta esperienze in Svizzera (Losanna e Lucerna), Australia (Melbourne Victory) e Romania (FC Botosani): “Sono abituato a viaggiare, stare all’estero. In Svizzera è stato il mio periodo migliore. È un campionato competitivo, con molti spazi e meno tattica, dove i giovani possono esprimersi al meglio. A Melbourne però è dove sono stato meglio. La città è fantastica, una delle migliori dove vivere“.
Ma tutto parte da Torino, più precisamente da Vinovo: “Sono cresciuto nel settore giovanile della Juventus, in Primavera il mio allenatore era Marco Baroni. Lì era tutto perfetto, venivi seguito molto in ogni aspetto. Quando andai via fu un duro colpo, passare in Lega Pro fu come passare dalle stelle alle stalle. Te la giochi con gente grande, che deve mantenere una famiglia. Non non ti regalano nulla. Adesso fanno giocare i giovani, ma solo per le regole che lo impongono non perché lo meritano davvero“. Il rimpianto più grande però, si chiama Chievo: “Avevo firmato per due anni e alla prima stagione, in Serie B, feci molto bene. Poi arrivò il fallimento, era agosto e le altre squadre erano quasi tutte formate. Fu un periodo brutto, da quel momento non sono più riuscito a esprimermi su quei livelli“.
Ora Margiotta guarda al futuro da una prospettiva diversa: “Tutte queste esperienze stanno dando qualcosa a me e alla mia famiglia a livello umano. Stiamo conoscendo nuove culture, imparando come si vive in situazioni diverse. Abbiamo un figlio che sta facendo l’asilo qui, si sta abituando a saper affrontare diversi contesti. Sono cose che vanno oltre il calcio“.
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