"Per noi se n'è andato un componente della nostra famiglia. Era così che lo considerava mio zio: era il figlio maschio che non ha avuto. Nel bene e nel male". A parlare ai microfoni di Gianlucadimarzio.com è Favio Bilardo, nipote di Carlos, Ct che nell’86 guidò l’Argentina alla vittoria della seconda Coppa del Mondo.“In quel Mondiale avevo 16 anni e lavoravo con mio zio, come una sorta di video analist: avevo il compito di tagliare, mettere in pausa, indietro o avanti i vhs con le varie azioni. E così fu anche a Italia ’90, quando avrei dovuto fare il militare”.
Si è fermata l’Argentina. Tre giorni di lutto nazionale, e una marea di gente che ha raggiunto la capitale per dedicargli un ultimo saluto, oltre ai tanti omaggi ricevuti da tutto il mondo. “Non sono andato a La Casa Rosada perché avevo paura per la salute di mio padre. A mio zio abbiamo preferito nascondere i telecomandi della tv perché viste le sue condizioni potrebbe essere molto doloroso”. E aggiunge:“Qualche anno fa a Natale ricordo che mentre noi festeggiavamo, mio zio rimase in camera perché aveva litigato con Diego. Scese solo a mezzanotte per fare un brindisi e poi tornare subito in camera sua. Tra loro era così, ma fu molto bello il messaggio di Diego su Instagram per il suo ultimo compleanno, quando non stava bene e doveva essere operato”.
Un privilegiato – come ammette lui stesso – che ha potuto vivere le emozioni di quei momenti a stretto contatto con Maradona e il resto del gruppo. “In quegli anni era diverso: non c’erano i cellulari e i giocatori si conoscevano di più. In Messico ricordo che il primo giorno pranzai per caso allo stesso tavolo di Diego, insieme al suo massaggiatore personale che si era portato direttamente da Napoli. Quella tavolata con noi tre divenne una cabala fino alla vittoria finale”. E dopo la vittoria con l’Inghlterra: “Mi rimarrà in mente sempre il suo sorriso. Quello che aveva al ristorante Cremasco, quando gli chiedevano se avesse segnato con la mano e dalla sua espressione capivi tutto. Lui ti ti contagiava. Non era solo un calciatore. Aveva il fascino delle celebrità, di quelle persone magiche”.
Tanti i ricordi che sono riaffiorati nella sua mente negli ultimi giorni, dopo la notizia della sua scomparsa. “Ero a casa con due calciatori e alla televisione annunciano questa notizia. Si sapeva che non stava attraversando un buon momento, ma nessuno se lo sarebbe immaginato. Continuavo a sperare in una smentita e ancora faccio fatica a crederci”. Spiega Favio, che ormai da anni lavora come procuratore nell’agenzia Avios Soccer. “Sono tanti i miracoli che ha fatto e le gioie che ci ha dato, a noi come al Napoli, e forse un giorno lo faranno santo (afferma tra un tono scherzoso e allo stesso tempo triste, ndr)”.
“LUI È ANDATO OLTRE LA PANDEMIA, BASTA PARAGONI”
Nelle ore successive Buenos Aires sembrava un cimitero. Anche il cielo piangeva, con delle piogge forti, quasi inusuali per il clima primaverile. “Io ho pianto poche volte nella mia vita: l’ho fatto quando Maradona disse che gli stavano tagliando le gambe a Usa ’94 e ho pianto l’altro giorno per la sua scomparsa. Con la sua morte ha unito l’Argentina. E arrivo a dire che per noi il 2020 sarà l’anno di Maradona: lui è andato oltre la pandemia. E lo dico con tutto il rispetto del caso per le tante vittime. Diego è un dio e certe volte bisogna che uno muoia per capire la sua reale dimensione. Non ha più senso fare il paragone tra Diego e Messi, e non so come farà la prossima volta a giocare in nazionale: quella camiseta se l’è portata via con se. È stato il supereroe più umano di tutti: ha avuto tanti difetti e ha fatto tanti errori, che però gli sono sempre stati perdonati. Se ci chiedi ‘com’è l’Argentina? Ti risponderemo ‘Guarda la vita di Maradona’. Lui è l’Argentina ed era il nostro capitano. Alcuni qui sperano ancora in un altro miracolo, che resusciti”.
di Mattia Zupo
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