Ve lo ricordate il travaso-shock di Zamparini? Nel 2002, l’allora presidente del Venezia rileva il Palermo e porta con sé mezza squadra più l’allenatore. Da un giorno all’altro, durante il ritiro estivo. ‘Operazione di mercato’ mai vista. O forse sì, in salsa autoritaria: i giocatori della Dinamo Dresda avrebbero messo la firma, per venire trattati come Pippo Maniero e compagni, in quel 1954. Altri tempi, altri mondi. Trasferimento in blocco forzoso e irrevocabile, sotto la stretta sorveglianza della polizia segreta della Repubblica Democratica Tedesca. Da una Dinamo all’altra, direzione Berlino.
Questa, era la squadra granata della capitale. Un orso come simbolo, il patrocinio della Stasi. La Germania Est nacque nel 1949, cinque anni dopo già si sarebbe capito la piega che avrebbe preso il suo calcio. Quello di Dresda, una delle piazze più calde del paese, perse ogni punto di riferimento solo perché così stava bene ai vertici DDR. In primis a Erich Mielke, numero uno della polizia segreta e presidente tifoso della Dinamo Berlino. Binomio difficilmente conciliabile.
Ma il bello del pallone è che per fare gol non basta nemmeno avere lo stato in pugno. La prima stagione dopo il furto del ’54 terminò con un anonimo settimo posto: i giocatori si potevano anche rapire, ma restava difficile dimostrare che non giocassero alla morte per la nuova maglia. Così la DDR-Oberliga, pallido alter ego della Bundes, per anni rimase appannaggio di varie formazioni targate Turbine, Chemie, perfino Karl Marx (l’orbita era pur sempre quella sovietica).
La prima Dinamo a entrare nell’albo d’oro fu nonostante tutto quella di Dresda, risorta dalle ceneri. A Berlino si vociferava soltanto, che la squadra fosse quella della Stasi, favorita dagli episodi e dalle politiche di trasferimento: chi si rifiutava di firmare per i granata rischiava di finire nell’Hohenschönhausen, il carcere politico della DDR. Fino al 1967, i risultati non giustificavano le leggende metropolitane: solo una coppa nazionale, addirittura due retrocessioni.
Poi Mielke gettò la maschera. E tutto cambiò. Il club cominciò a fare ricorso al doping di stato (sull’onda degli anomali successi olimpici del paese), spazzò via la concorrenza, si infiltrò tra federazione e classe arbitrale. Emblematici, i casi di Adolf Prokop (internazionale dal ’74) e Bernd Stumpf (poi ci torneremo): i due fischietti più influenti di Oberliga ma soprattutto agenti della Stasi. Alla faccia del vincere facile. La Dinamo Berlino divenne ‘la squadra più odiata di Germania’, chi non ne sposò la causa ne subì le conseguenze.
Un processo decennale, ma a partire dalla stagione 1978/79 i granata iniziarono a dominare con maggioranza bulgara: 10 scudetti consecutivi, spuntando anche sul piano europeo con i quarti di Coppa dei Campioni raggiunti per due volte (fu tra le avversarie della Roma, nel cammino verso la finale dell’84). Quel poco di calcio che ancora sopravviveva in DDR, non c’era più.
Tutti se ne accorsero il 22 marzo 1986. A Lipsia, va in scena il testa a testa che vale una buona fetta di campionato. Spinta dal pubblico di casa, la Lokomotive passa in vantaggio 1-0. Sogna. Il primo scudetto della storia e la fine della dittatura Dinamo. La partita arriva al 90’, recupero, non finisce. L’arbitro, non vuole farla finire. È l’amico Stumpf. Aspetta fino a quando un giocatore granata non cade in area. Rigore per la Dinamo, gol, allora sì, triplice fischio. E Oberliga ‘salvata’.
Ancora oggi in Germania si ricordano di quella partita. ‘La vergogna di Lipsia’. Fu un vero polverone, in DDR. La Stasi si rese conto di aver tirato un po’ troppo la corda e per placare gli animi decise di sospendere l’arbitro. Ma era l’inizio della fine. Nel 1988/89 lo scudetto tornò a Dresda. Poi crollarono il Muro, la DDR e la Dinamo. Risucchiata dal dimenticatoio del calcio: l’allenatore Jurgen Bogs, quello dei dieci titoli consecutivi, sarà l’ultimo a mollare fino alla bancarotta societaria del 2001.
Oggi il club prova a ripartire dalla quarta serie, tra voglia di futuro e sapore di passato. La nuova Dinamo investe nel settore giovanile ma non riesce a scrollarsi di dosso la nomea. A partire dalle tifoserie avversarie, per le quali gli orsi di Berlino saranno sempre ‘quelli della Stasi’. Ma anche tra il caldissimo pubblico di casa, capace di fare oltre 10mila spettatori nelle grandi occasioni (l’ultima, nel 2017, in Coppa di Germania contro lo Schalke).
Quando gioca la Dinamo, nella marea granata spunta sempre qualche bandiera della DDR, qualche coro sulla squadra che fu. La chiamano Ostalgie, nostalgia dell’Est. Con dieci scudetti in bacheca, mica facile uscire da Goodbye Lenin.
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