Com’è Triste Venezia? Non per Francesco Di Tacchio. Capitano della Salernitana fresca di promozione in Serie A che certo non potrà essere d’accordo con il pensiero in note di Charles Aznavour. Ma cosa lega Salerno, Di Tacchio e la Laguna? I ricordi, il passato e il presente. Due flash per raccontare un sogno coltivato, sudato e raggiunto. Rewind. 9 maggio 2019: Venezia-Salernitana, playout salvezza di B, termina 1-1 nella gara di ritorno. Si passa per i rigori: quello decisivo per mantenere la categoria lo segna proprio Di Tacchio. 17 aprile 2021: all’Arechi la doppietta di Gondo in pieno recupero ribalta il vantaggio ospite firmato da Maleh. Scatto verso la A. Chi festeggia 100 presenze in granata quel giorno? Chi, se non Di Tacchio. Che meno di un mese dopo, con fascia al braccio, ha guidato i festeggiamenti dopo la vittoria decisiva di Pescara. “Emozioni indescrivibili – le definisce ai microfoni di GianlucadiMarzio.com – sicuramente ho pensato a cosa avevamo fatto: abbiamo riportato la Salernitana e la città di Salerno in Serie A, come aspettavano da 23 anni. Farlo da capitano è stato ancora più bello ma senza la forza del gruppo e dei miei compagni non ce l’avremmo mai fatta“. Il momento chiave della stagione? Troppo facile. “Direi il 2-1 in casa al Venezia, perdevamo a tre minuti dalla fine e abbiamo vinto in rimonta”.
Da tre anni a Salerno, Di Tacchio ha conosciuto tutte e quattro le stagioni all’Arechi. La corsa salvezza, il rischio della routine a metà classifica, la rincorsa playoff, la gioia per la promozione. “Quando abbiamo avviato la stagione, nessuno si aspettava di realizzare questa impresa – ammette candidamente -i risultati arrivavano con continuità, abbiamo iniziato a crederci”. Altro giro, altra sliding door: “Abbiamo perso contro il Monza in casa ma quel giorno ha perso anche il Lecce. Il rigore di Tutino a Pordenone ci ha fatto capire che eravamo davvero padroni del nostro destino“. Rete arrivata al 96′. Minuto che per Di Tacchio, associato alla Salernitana, non rappresentava una gioia. Film del campionato di B 2017/18, quando giocava ad Avellino: “Eravamo avanti di due gol nel derby, in casa, e ci siamo ritrovati a perdere in casa 3-2. Se avessimo vinto saremmo diventati addirittura primi. Invece di lì ha avuto il via la discesa e ci siamo salvati all’ultima giornata”. Della serie: come una partita può cambiarti la stagione.
Gattuso a Pisa quattro anni fa, Castori a Salerno. Dove c’è carisma in panchina, Di Tacchio è ancora più a proprio agio. “Quando il mister è arrivato qui, l’ambiente non era sereno e c’erano tante contestazioni. Lui è stato bravo a prenderci per mano. Nei momenti negativi ci ha aiutato e sostenuto. Abbattersi era facile invece lui con la sua grinta da condottiero ci ha portato al traguardo. Ho un ottimo rapporto con lui. Ha valori, ama i sacrifici e il lavoro. Tutta la squadra si sarebbe gettata nel fuoco per lui“. Ma “io mi metto sempre a disposizione, con tutti. Anche con Ventura: aveva un gioco diverso, con lui ho imparato tanto. Questo dimostra che anche a 30 anni se ci si applica si può imparare tanto”. E si arriva in A. Dopo tanta serie B, assaggi di serie C da vincitore (Perugia e Virtus Entella). Eppure quell’esordio Di Tacchio lo aveva sfiorato 11 anni prima. Maggio 2010, la Fiorentina chiude il campionato a Bari e lo fa senza obiettivi. Cesare Prandelli lo aggrega alla prima squadra, lui però davanti alla sua famiglia resta in panchina, senza toccare il campo. “Non avevo la maturità che ho adesso, ho fatto un percorso diverso. La mia è stata una carriera impegnativa, ho lavorato tanto su me stesso. In quella Fiorentina c’erano tanti campioni, da Mutu a Jovetic. Era la squadra che fu eliminata dalla Champions League agli ottavi di finale dal Bayern Monaco”.
A Salerno hanno imparato ad apprezzarlo per la capacità di dare equilibrio a tutta la squadra. Nel cuore dei tifosi, dopo il rigore di Venezia, si era consolidato per il gol più importante: febbraio 2021, durante i minuti finali di Ascoli-Salernitana il suo compagno di squadra e reparto Patryk Dziczek cade improvvisamente sul terreno di gioco a palla lontana, in preda a quello che poi verrà definito un attacco epilettico. Di Tacchio si trova vicino ed è il primo a soccorrerlo, prima dell’arrivo dell’ambulanza: “Per me è stata una cosa completamente inaspettata, sono momenti che ti fanno capire come la vita sia fatta di frazioni di secondo. Mi sono sentito in dovere di aiutare un compagno, ho subito capito la gravità del problema. Non ho alcuna competenza e non sapevo da dove iniziare, magari ho fatto delle manovre sbagliate ma mi sono lasciato guidare dall’istinto. Patryk sta aspettando l’ok dei medici per tornare a giocare, a 22 anni è dura. Spero possa tornare a fare quello che più ama”.
E magari a farlo con la Salernitana in A, quella categoria che il Di Tacchio bambino seguiva con il cuore rossonero: “Ero un grande tifoso del Milan, impazzivo per Kakà anche se le caratteristiche erano diverse”. Sin dai primi passi nel Nuovo Globo, a Barletta, la sua città. Nei campionati provinciali pugliesi Di Tacchio giocava con compagni di squadra e avversari che avevano almeno due anni in più. E decideva partite. Da trequartista. Da Ascoli in poi è stata una continua evoluzione tattica: “Ho sempre studiato Gerrard, per me uno dei centrocampisti più forti del mondo. In tv però non capisci quanto un giocatore sia abile, serve sfidarli dal vivo”. Possibilità che Di Tacchio potrebbe avere nella prossima stagione. “Tanti mi hanno detto che Ibrahimovic e Cristiano Ronaldo visti dal vivo hanno qualcosa di diverso, di superiore a tutti. Ecco, sarei molto curioso di sfidarli“. Con una speranza, per tutti: “Sarebbe bello tornare a giocare in stadi pieni, o con tanto pubblico. Sarà una stagione intensa, difficile ed emozionante”. Come diceva Pietro Mennea, campione mondiale di atletica leggera partito dalla sua città, “soffri ma sogni“. Di Tacchio ha preso la lezione alla lettera. E dopo un giro lungo 11 anni, è pronto a toccare con mano il suo sogno.
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