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Bessa: “Io negli Emirati? Grazie (anche) a un tatuaggio”

“Hai scelto la settimana giusta per chiamarmi”. Entusiasmo alle stelle. La nostra videochiamata con Daniel Bessa si apre così. Tre ore di fuso orario e grandi sorrisi. Il centrocampista gioca nell’Ittihad Kalba, club della UAE Arabian Gulf League (l’equivalente della nostra Serie A). “Venire qui era nei miei piani. Ma non così presto” racconta Bessa ai microfoni di gianlucadimarzio.com. “Il tatuaggio sulla caviglia? Aveva previsto il mio trasferimento negli Emirati…”, ma su questo ci torniamo tra poco.  

A destra la scritta tatuata sulla caviglia

Davanti a noi troviamo un ragazzo solare. Oltre che un gran padre di famiglia.I miei figli sono tutto. La scelta di venire negli Emirati? È legata anche a loro”. Cioè? “La trattativa è stata veloce. Ma non c’è stata una sola notte in cui non ho ragionato pensando a loro. Oggi hanno due anni e mezzo, ma all’epoca avevano qualche mese. Ovviamente – dice con freddezza – Sarei ipocrita se dicessi che il lato economico non ha influenzato, ma la decisione è stata presa pensando in primis alla mia famiglia”.  

Verona, Milano e mercato: “Cercato in Italia e dal Panathinaikos. Ma io volevo altro…”

Calma e raziocinio. Un tuffo nel passato con la testa proiettata al presente. “L’Italia mi manca”, ammette sospirando. Ma Bessa, almeno in Europa, sarebbe potuto restare. “Nel 2022 è terminato il contratto con l’Hellas Verona: mi hanno proposto il rinnovo per un altro anno. Nel frattempo è arrivata un’offerta dall’estero, dal Panathinaikos. Ma io cercavo altro…”. Entrambe le operazioni, infatti, sono legate da un filo conduttore: “Volevo un progetto a lungo termine – dice il 31enne – Quindi mi sono seduto a tavolino e ho ragionato”. Il centrocampista incontra anche Pisa, Como e Reggina. Con tutte e tre, non si va oltre una semplice chiacchierata. “Quando mi è arrivata la proposta dagli Emirati, ho accettato”. Di recente, ha rinnovato il suo contratto fino al 2026.

Ma non c’è nulla da fare. Quando si parla d’Italia, a Bessa si illuminano gli occhi. Nel 2008, l’Inter lo preleva dal Brasile e lo porta con sé a Milano: il tutto a nemmeno diciotto anni. Quindi il settore giovanile, raccattapalle a San Siro e gli allenamenti con i campioni: “Quella squadra mi è entrata nel cuore. Lì ho visto i miei idoli”. Dopo alcuni prestiti, nel 2014 arriva il Bologna. Bessa conquista la promozione in Serie A e vive in prima persona il passaggio di proprietà. I rossoblu vanno in mano a Saputo. “È una piazza che mi ha dato tanto. Dopo dieci anni, l’attuale proprietà sta avendo i risultati sperati, di questo sono contento”. Senza però dimenticare Como e Genoa, altre due piazze che definisce di “assoluto valore”

Prima di riemergere in superficie, facciamo tappa a Verona. La città di Romeo e Giulietta entra nel cuore del ragazzo di San Paolo. “Lì sono nati i miei figli, sono stato il capitano del club e ho toccato le cento presenze”. Poi ammette:Un giorno vorrei tornarci, anche solo per vedere lo stadio…”. E nonostante i seimila chilometri di distanza, quel filo gialloblu non si è mai spezzato: “Spero che si salvi”.   

Bessa: “Trasferte brevi, cene alle 19 e quel tatuaggio sulla caviglia…”

Un papà a tempo pieno. Pronto a qualsiasi cosa pur di vedere felici i piccoli Pedro e Maria: “Per me sono tutto, vivo per loro”. Parole forti, ricoperte di amore e responsabilità. “Negli Emirati le trasferte sono più brevi, questo mi permette di trascorrere tanto tempo con loro”

‘Ma del tempo per te?’ Alla domanda, Bessa risponde con un sorriso. E aggiunge: “Ammetto che ultimamente ho cambiato parecchie abitudini. Prima andavo a cena tardi, o magari facevo un aperitivo più lungo. Oggi invece mangio alle 19, organizzo delle grigliate o invito degli amici a casa: così passo il mio tempo fuori dal campo”

Dunque. Bessa vola negli Emirati. Nuovi usi, costumi e orari. Cambia stile di vita e scende in campo con una nuova squadra: e se vi dicessimo che aveva predetto il suo trasferimento otto anni prima? Può sembrare strano, ma non è così.
Facciamo ordine: anno 2012, Daniel si rompe il crociato della gamba destra. “All’epoca se ne parlò poco”. Il fato bussa due anni più tardi, nel 2014. “Decisi di tatuarmi sulla caviglia destra la frase ‘Non c’è gloria senza sacrificio'”. Fin qui, nulla di surreale. Se non fosse che…“Sul momento, non sapevo in quale lingua scriverla. Me lo domandai più volte: ‘la faccio in italiano? Inglese? O magari portoghese?’. Alla fine, e ancora non me ne capacito, decisi di scriverla in arabo. La videochiamata viene interrotta da un silenzio assordante. Una quiete spezzata solo quattro secondi più tardi da una fragorosa risata: “Otto anni dopo, sono venuto qui. In un paese dove si parla arabo. I miei compagni attuali – continua – si complimentano per la bella frase che ho scritto. Ma non sanno che l’ho tatuata parecchi anni prima”.   

“In campo per altri cinque o sei anni. Pedro e Maria? Prima di ogni cosa”

Due anni fa sarebbe potuto restare in Italia. Oggi con l’Ittihad Kalba realizza 9 gol in 17 presenze. Il passato è alle spalle. Il presente è oggi. In futuro dove ti vedi? “Questa è la domanda che preferisco – dice annuendo – Mi sto curando molto a livello fisico, e di questo ringrazio il club. Tornerei in Italia, magari con gli scarpini da calcio”. Già perché di smettere, Bessa, non ha intenzione: “Sto bene, mi vedo in campo per altri cinque o sei anni. Dopo il ritiro? Sto parlando con alcuni miei ex compagni. Credo di restare nel calcio, magari come allenatore – e aggiunge – Ma a questo penserò più in là”.  

 

Lo troviamo con il sorriso stampato in faccia. Lo salutiamo con altrettanta gratitudine. Ma prima di chiudere la videochiamata, Daniel ci lascia un’ultima curiosità. “Ora a casa c’è un casino (ride, ndr)…I bimbi vanno a scuola e parlano sia l’inglese che l’arabo. A casa, invece, parliamo portoghese e un pò di italiano”. Famiglia, calcio e dedizione. Ora Bessa si gode i suoi piccoli: Pedro e Maria, coloro che vengono prima di ogni cosa

Davide Balestra

Nato nel 2000 a San Benedetto del Tronto. Di sangue metà pugliese e metà marchigiano ma con inflessione dialettale praticamente neutra. Figlio della Generazione Z, la stessa che ha partorito calciatori del calibro di Haaland, Vinícius Júnior o Tonali. Al tentativo di replicare le loro giocate sul campo di calcetto ho preferito il portatile o il microfono, quest’ultimo, da un po’ fedele compagno di viaggio. Poca retorica: le emozioni che trasmette un campo di calcio non sono quantificabili. E a me piace raccontarle, che sia attraverso una tastiera o una telecamera puntata in volto. Ansie, timori e paure fanno parte del percorso. Cerco di superarle con umiltà, virtù che, con il tempo, sto rendendo un mio mantra.

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