I tifosi di Curaçao (IMAGO)
Dallo 0-0 di Kingston alla storia: l’isola da 150mila abitanti diventa il Paese più piccolo di sempre ai Mondiali.
Quando l’arbitro ha fischiato la fine a Kingston, non si è chiusa solo una partita: si è aperta una pagina nuova del calcio mondiale. Curaçao, piccola isola dei Caraibi con una popolazione paragonabile a quella di Cagliari, ha compiuto l’impossibile. Lo 0-0 contro la Giamaica, nello scontro diretto che separava i Los Azules dall’eternità, ha certificato un record che nessuno pensava sarebbe stato riscritto così presto: Curaçao diventa la nazione più piccola mai qualificata a un Mondiale.
Sessanta chilometri al largo del Venezuela, un territorio di 444 chilometri quadrati, metà dei quali occupati dalla colorata Willemstad: è da qui che parte il viaggio di una squadra che, fino a poche settimane fa, era ancora confusa in quella solita categoria di “favole caraibiche” destinate a svanire sotto il primo refolo di vento. Ma qualcosa, stavolta, ha resistito. Forse l’orgoglio di un’isola diventata Stato autonomo del Regno dei Paesi Bassi solo nel 2010. Forse la determinazione di un gruppo cresciuto inseguendo un sogno lontanissimo. O, più semplicemente, il momento in cui la storia decide di piegarsi verso gli audaci.
Il paradosso? La notte più importante è arrivata senza il loro condottiero. Dick Advocaat, il CT olandese dalle mille panchine e guida dell’Olanda del 1994 di Rijkaard, Koeman e Bergkamp, è dovuto rientrare in patria per motivi familiari. Eppure la squadra ha saputo camminare da sola, come se quei mesi di lavoro fossero stati un lungo addestramento a cavarsela quando davvero contava.
Dietro il successo c’è anche una storia geopolitica: molti giocatori sono nati nei Paesi Bassi, cresciuti nei vivai europei e richiamati dalle loro radici caraibiche. Una diaspora calcistica tornata a casa al momento giusto.
Curaçao non è solo un punto nei Caraibi: è una storia di legami. Prima colonia olandese, poi parte delle Antille Olandesi, oggi nazione costitutiva del Regno dei Paesi Bassi. Condivide con l’Olanda solo difesa e politica estera; il resto è autonomia, colori caldi, un’identità viva. Willemstad è Patrimonio UNESCO perché racchiude l’anima dell’isola: un ponte di culture, una tavolozza che ora aggiunge una nuova sfumatura, quella del sogno Mondiale.
In questo mosaico, Advocaat ha lavorato come un cartografo di emozioni. Ha cercato, contattato, convinto giocatori con radici sull’isola: figli e nipoti, prodotti dei vivai di Groningen, Eindhoven e Rotterdam. Tutti nati nei Paesi Bassi, tutti uniti da un filo identitario che lo sport ha riannodato. Tra loro c’è anche Livano Comenencia, visto in Italia con la Juventus Next Gen.
In mezzo al campo c’è Tahith Chong, il talento cresciuto tra Manchester United e Inghilterra. Accanto a lui, Juninho Bacuna: nato a Groningen, cresciuto con l’Olanda fino all’Under-21, poi la scelta del cuore – e del fratello Leandro. “L’ho fatto per giocare con lui, e perché con l’Olanda non avevo chance”, ha raccontato.
Accanto ai Bacuna e a Chong, ci sono volti che raccontano il lungo cammino: Cuco Martina, con gli anni in Premier League, e Rangelo Janga, miglior marcatore di una Nazionale che ha imparato a soffrire e colpire. Attorno a loro, una generazione rigenerata da Advocaat e da un’idea: nessuno è troppo piccolo per sognare, e nessuna isola è troppo remota per immaginarsi sul tetto del mondo.
La qualificazione è arrivata in una notte da brividi, ma la vibrazione continuerà a lungo. “Se ci qualificassimo, la nostra terra potrebbe tremare”, aveva scherzato Gervane Kastaneer pochi giorni fa. Forse non si è spostata di cinque metri, ma di certo Curaçao ha fatto tremare il calendario del calcio mondiale. L’isola che sembrava destinata a restare un angolo remoto ora si siede al tavolo delle grandi: il Mondiale del 2026 avrà il colore azzurro del mare che l’ha sempre circondata – e che, per una volta, ha deciso di aprirsi davanti a lei.
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