Dro Fernandez, Barcellona (imago)
Dal paragone con Paulino Alcántara all’esordio in Liga con il Barcellona, chi è “Dro” Fernandez
Nato in Galizia nel 2008 e cresciuto nella stessa scuola calcio che ha formato talenti come Thiago Alcantara, Rafinha e Rodrigo Moreno, Pedro Fernandez è l’ennesimo gioiello sfornato dalla Masia.
Figlio di papà spagnolo e mamma filippina, Pedro si avvicina al calcio da piccolissimo: a quattro anni è già su un campo, anche se convincerlo non è stato affatto semplice.
Lo ricorda bene il suo primo allenatore, Javier Lago: “Quando è arrivato al campo era minuscolo, e non voleva nemmeno allenarsi. Quel giorno è scoppiato a piangere e se n’è andato con sua madre, anche se poi è tornato più tardi”.
Per fortuna, convinto da mamma Ella è tornato al campo. E lì, sono bastati due tocchi per capire che in Fernandez c’era qualcosa di diverso. “In una conversazione – racconta ancora Lago – il mio assistente mi disse: dobbiamo dirgli di restare. Dal modo in cui ha fermato la palla, da come ha tirato…”. Insomma, già allora si respirava aria di predestinato.
Dopo essere cresciuto al Val Miñor, nel 2022 Dro Fernandez finisce nel mirino dei grandi club: ci prova il Real Madrid, si fa avanti anche il Betis, ma alla fine è il Barcellona a convincerlo. Una scelta che in due anni lo porta già in Juvenil, l’ultimo gradino prima della prima squadra.
Antón Davila, suo allenatore al primo anno in maglia blaugrana, ricorda bene l’impatto di Fernandez: lo faceva giocare sotto età di due anni, eppure riusciva comunque a sorprendere chiunque. “Aveva un difensore dietro che lo marcava stretto – racconta – ma lo superava in tutti i modi: di tacco, di lato, con una gamba o con l’altra. Per gli avversari era una fonte continua di frustrazione”.
Facciamo un passo indietro, ai tempi in cui Real Madrid, Betis e Barcellona si contendevano la sua firma. Una cosa era chiara: Pedro Fernandez doveva crescere soprattutto sul piano caratteriale ed emotivo.
La fragilità si notava anche nei momenti chiave: “All’inizio i rigori erano difficili per lui. Ne sbagliava alcuni e poi non voleva più batterli. Lo supportavamo e lo spingevamo a tirare e segnare, ma era complicato per lui”, ricorda André, uno dei suoi ex allenatori.
Quando Pedro Fernández arrivò a La Masia portò con sé non solo il talento, ma anche un soprannome nato sui campi della Galizia. Con il suo amico Pedro Villar formava una coppia inseparabile, ma entrambi avevano lo stesso nome e quindi Fernandez è diventato “Dro”, Villar “Villi”. Quel diminutivo semplice e spontaneo è rimasto, e oggi nello spogliatoio, tutti continuano a chiamarlo così.
Il suo arrivo al Barcellona ha acceso anche i ricordi dei tifosi più nostalgici, che hanno intravisto in Dro Fernandez un legame con Paulino Alcántara, leggenda blaugrana di origini filippine e spagnole. Alcántara ha vestito la maglia del Barça dal 1912 al 1927, segnando 395 gol e diventando un’icona eterna del club. Un paragone suggestivo, che però resta più simbolico che tecnico: le radici sono comuni, ma i ruoli e le epoche a cui appartengono raccontano due storie molto diverse.
Dro è un centrocampista destro che ha ancora ampi margini di crescita, soprattutto sul piano fisico: è pur sempre un adolescente, ma già oggi mostra qualità. Nelle giovanili del Barcellona è stato utilizzato anche da trequartista, a supporto della punta centrale, confermando la sua capacità di adattarsi e incidere in più zone del campo.
La sua forza sta nel muoversi tra le linee e nel trovare passaggi filtranti grazie a un’eccellente visione di gioco. La caratteristica più evidente, però, è la naturalezza con cui corre dentro il campo, usando corpo e gambe con rapidità, senza affidarsi esclusivamente alla velocità pura. Questa combinazione – unita al controllo stretto e alla posizione leggermente più avanzata rispetto ai compagni di reparto – ricorda per movenze un profilo che a Barcellona conoscono bene: Andrés Iniesta.
Il primo impatto con la maglia della prima squadra non lo dimenticherà mai. È arrivato quest’estate, durante la tournée estiva in una partita contro il Vissel Kobe: in nove minuti ha trovato il gol.
Pochi giorni fa, invece, è arrivato l’esordio da titolare in Liga, contro la Real Sociedad, mentre oggi parte titolare in Champions League contro l’Olympiakos. Il risultato? 92% di passaggi riusciti (24 su 26), tre dribbling tentati e due riusciti, cinque duelli vinti a terra, uno aereo e persino un passaggio chiave. Insomma, i numeri parlano chiaro.
A cura di Stefano Fantasia
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