Tommaso Berti, centrocampista Cesena Fc esulta dopo un gol/Credit Foto: Cesena F.C. - Luigi Rega
Il Cesena vince in casa anche contro la Carrarese 2-1. A segno Shpendi e Tommaso Berti, il vero simbolo di una città che sogna con i ragazzi del suo vivaio.
Le strade chiuse. Una confusione anomala. I riflettori accesi che illuminano l’orizzonte. Una situazione strana per un martedì sera. Le persone di rientro a casa dopo la giornata di lavoro si imbattono in un traffico inusuale. Qualcuno addirittura corre lungo il marciapiede di una strada scorrimento veloce. Un bambino chiama con insistenza il papà intento a chiacchierare con un amico. “Babbo facciamo tardi!”.
Già, la passione è così tanta in Romagna da mettere ansia, persino, alla spensieratezza dei più piccoli. Esitazione. Il bimbo alza lo sguardo. Inizia a cantare: “Romagna Capitaleee”. È l’avviso della Curva Mare, all’Orogel Stadium Dino Manuzzi sta per scendere in campo il Cesena.
“Vado va là che non sta più nella pelle” – si congeda il padre dall’amico con un sorriso affettuoso. È la sua prima volta. L’eccitazione incontenibile è solo il frutto della curiosità. “Uooh!”. Lo stadio non accoglie benissimo un primo disimpegno di Francesconi. “Babbo, cosa succede?”. “Guarda quel ragazzo con il numero 70 sulla schiena, non ha paura di sbagliare”. Da un padre c’è sempre da imparare. Anche sugli spalti, davanti a una partita di pallone.
“No!”. Come prima volta niente male. Il piccolo tifoso si immedesima subito nel contesto. “Tranquillo, vedrai che Cristian (Shpendi) ti farà un regalo”. Fischio. Palla lontana. Il bimbo fino alla parte opposta del campo non ci vede. Il padre si carica il figlio sulle spalle. “Babbo perché quel giocatore è per terra? Perché corrono tutti da quel tizio con la maglia rossa?”. “Vedi, quello con la maglia numero 7 gialla ha fatto male a quel ragazzo con la maglia bianca steso per terra e il signore con la maglia rossa – detto arbitro – ha punito il giallo”. L’innocenza del piccolo: “Ma le punizioni sono brutte”. Boato, L’urlo. “Cristian?” “Shpendi!”. “Papà ma hai i superpoteri? Come facevi a saperlo?”. Già il mestiere del padre è, forse, uno dei più complessi, ma, senza dubbio, anche uno dei più gratificanti. Il Cesena è avanti contro la Carrarese per un rigore realizzato dal suo gioiello italo-albanese.
È ora di scendere. Le spalle del babbo implorano una pausa. Come i 22 in campo. “Ma perché non corrono più e vengono verso di noi?”. Ecco, spiegare il regolamento del calcio a un figlio in così tenera età, forse, è troppo anche per un padre. “Perché sono stanchi. Hanno corso tanto e adesso vanno a riposarsi un pochino”. Finisce il primo tempo. “Ma tornano?”. Avrà modo di capire.
Altro boato. Nuova ovazione dello stadio. Salta. Le cuciture della giacca del padre sono messe a dura prova. “Babbo, ma il Cesena ha fatto un altro gol?”. Il piccolo inizia a ingranare. “Vedi, quel ragazzo lì con la maglia bianca con il numero 14 era come te e oggi tutti gridano il suo nome”. Proprio così. Tommaso Berti è il ritratto migliore di quello che quel piccolo nuovo tifoso del Cesena sta provando insieme al suo papà. “Anche lui sai andava allo stadio con il suo papà e con il nonno quando era piccolo come te”. “Ma non c’è il nonno”. Il silenzio, un sorriso e gli occhi al cielo del padre parlano più di interi discorsi. “Si chiama Tommaso e come te è nato a Cesena e tifa per la squadra della sua città. Poi a un certo punto il suo papà, la sua mamma e tante brave persone hanno capito che aveva un dono: sapeva giocare a pallone”. Mani sulla bocca spalancata, occhi sbarrati. Nessuna parola. Un dito per indicarlo e la più banale delle reazioni: “Ma posso diventare anche io come Tommaso?”. Ne riparleranno più avanti. Per adesso il piccolo dovrà accontentarsi di un abbraccio.
E così con il gol del giovane centrocampista bianconero, il Cesena è sopra di due reti a zero sulla Carrarese. “Ma no!”. I sentimenti dell’Orogel Stadium mutano con la stessa velocità con cui Melegoni anticipa Zaro, serve Finotto che di prima batte Klinsmann. “Babbo, ma perché questi signori hanno le mani sulla testa?”. Anche il pubblico inizia ad attirarlo. Non si rende conto di farne parte. Ma è bello così. Appoggiando un berretto sulla testa del figlio: “Hanno freddo”. Non è il momento di frenare l’entusiasmo “della prima volta”. Ha già sperimentato molto. Ci sarà tempo.
“Ma tira!”. Comprensibile. Non sempre scindere il tifoso dal genitore è scontato. Blesa non tira nemmeno quando non dovrebbe far altro e il Cesena spreca un (quasi) palese terzo gol. “Papà perché urli a quel giocatore con i capelli ricci?”. Denti stretti. Sguardo preoccupato. “Perché quei ragazzi che corrono con la palla hanno bisogno di noi!”. Piccole bugie per grandi risultati.
Cori, applausi, sciarpe al cielo. È finita. Il Cesena ha battuto la squadra di Calabro 2-1. “Papà cosa stanno cantando? Perché i giocatori sono là in fondo sotto quelle persone?”. È il momento più bello. Quello che giustifica la fatica di questo padre. “È la canzone di casa nostra”. Tutti i calciatori, lo staff tecnico e i collaboratori del club celebrano la vittoria cantando “Romagna mia” sotto la Curva Mare.
“Perché non andiamo anche noi?”. Lo prende per mano, si abbassa e gli sussurra in un orecchio: “Guarda, lo vedi ancora Tommaso? Lui è lì per tutti noi. E pochi giorni fa con lui siamo andati anche in giro per il mondo”. Perché Cesena è così: vive nel mito di chi la ama. Proprio come un padre ama il proprio figlio.
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