Categories: Interviste e Storie

Bonazzoli: “Allenatore? Grazie a un presidente. E ora la salvezza con il Lecco”

Non pensavo di diventare un allenatore“. Perché a volte la vita ti presenta variabili che non ti aspetti. “Giocavo in prima categoria, il presidente mi chiese di allenare la squadra per provare a salvarla”, racconta Emiliano Bonazzoli ai microfoni di gianlucadimarzio.com. Una carriera iniziata a sorpresa, un po’ come la chiamata del Lecco. Ora la sua nuova casa è il Rigamonti-Ceppi, l’obiettivo è la salvezza. “Non mi aspettavo il doppio salto dalla D alla B”. Alcuni giorni di attesa e poi l’inizio di una nuova avventura: “Fondamentale è stato confrontarmi con Malgrati e lo staff che c’era prima. C’era bisogno di alzare l’asticella e compattare la squadra“. E il cambio sembra esserci stato. Per le prestazioni e, soprattutto, per i 6 punti raccolti a Pisa e Palermo. La nuova vita da allenatore di Emiliano Bonazzoli riparte da Lecco. Diana, Juric e Gasperini i riferimenti: “Apprezzo il loro calcio. E non dimentico gli insegnamenti acquisiti negli anni tra i dilettanti“. Una storia partita da un cortile di casa e proseguita per gli stadi di Serie A. Il presente ha i colori bluceleste. 
Di strada ne ha percorsa, fedele ai suoi valori, coerenti con il suo sguardo genuino e onesto. Tra le onde del Lago, la nuova pagina di Emiliano Bonazzoli. 

 

Credit: Calcio Lecco

Caso e destino

Non ero convinto di smettere. Dopo Cittadella non è arrivata nessuna offerta e ho iniziato ad allenarmi con una squadra di prima categoria. Intanto, giocavo anche con un gruppo di amatori”. E ritorna tutto a quel cortile di casa: “Serie C o dilettanti non contava, a muovermi era la passione per quel pallone”. Dopo un mese e mezzo la richiesta del presidente: “Ho visto che i ragazzi ti seguono, diventa l’allenatore della squadra. Da lì è iniziata la nuova carriera e vita di Emiliano Bonazzoli: “Non avevo mai pensato a quel nuovo ruolo. È nato tutto per caso”. Una avventura diversa e non immaginata: “Cercavo di portare quella che era la mia esperienza. Quegli anni mi hanno insegnato a rapportarmi con persone che oltre al calcio avevano tanto altro: il lavoro e la famiglia. Un approccio umano diverso”. Il dilettantismo e la panchina nel calcio femminile: “Situazioni che mi hanno arricchito. Ho compreso l’importanza di capire chi si ha davanti”. 

 

Credit: Calcio Lecco

(In)Aspettato

A Renate la figura che gli cambia la concezione dell’essere allenatore: “Aimo Diana. Ero abituato a un calcio ‘vecchio’, fatto solo di schemi. Entrando nel suo staff, mi ha stravolto il modo di vedere il gioco. La visione degli spazi, la diversa intelligenza dei giocatori: ho imparato tanto. E seguo con attenzione Gasperini, Juric, Zanetti e Dionisi”. Poi la D con il Fanfulla e la chiamata da Lecco: “Non mi aspettavo il doppio salto alla B”.

 

 

Suona il telefono, è il ds Fracchiolla: “Mi ha detto che stavano cercando Zaffaroni. Se non fosse andata in porto la cosa, avrebbe voluto puntare su un gruppo giovane con me e Malgrati”. Passano i giorni, Bonazzoli arriva a Lecco. “C’è stato molto lavoro con Andrea Malgrati e lo staff che c’era. Si è cercato di essere più squadra. Giorno dopo giorno è scattato qualcosa nei ragazzi”. Contro Pisa e Palermo 6 i punti conquistati: “Vedo la voglia di uscire da una situazione di difficoltà”. L’impresa del Barbera ancora negli occhi: “Ci abbiamo creduto. Prestazioni che danno coraggio”. Un ritorno a casa… velocissimo: “Avevamo l’aereo poco dopo. Panini, pullman e partenza”. Qualche partitella con i suoi giocatori? “No, un allenatore deve stare all’esterno per poter osservare tutto. E poi il fisico non regge più (ride ndr)”. Con qualche consiglio agli attaccanti: “Speriamo che portino a tanti gol”. 

Ora c’è una salvezza da conquistare con il Lecco. “Ogni volta che ti vedo, il mio cuore batte forte”. Mosso dalla passione del primo giorno, Emiliano Bonazzoli.

Nicolò Franceschin

Nato nel 1997 tra Milano, Como e Lecco. Laureato in Giurisprudenza, ma ai codici ho preferito una penna. Cresciuto con Maradona (il calcio), ma anche Ronaldinho e Sneijder. Il fascino del numero 10. Credo nella forza delle parole. Verità e narrazione. In giro in macchina per stadi, campi e strade alla ricerca di nuovi colori da scrivere, perché ognuno ha una sua sfumatura. Le note del telefono che si riempiono di storie, alcune il cui finale è ancora tutto da scrivere. Una di queste è la mia. Raccontare emozioni e dare voce a chi non ce l’ha.

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