Interviste e Storie

Dalla Tritium e il Renate alla Champions con l’Inter: alle origini di Berenbruch

Credit: AC Renate

Aveva sei anni Thomas Berenbruch la prima volta che andò a San Siro.

Ci entrò come fanno tutti, passando per i tornelli e sedendosi in uno degli 80mila seggiolini del Meazza. Quel bambino l’11 marzo in quello stadio ci è tornato. Questa volta, però, è entrato dalla porta principale. Minuto 84 di Inter-Feyenoord: “Tocca te”.

L’abbraccio di Thuram, le indicazioni di Inzaghi, un cuore che batteva forte. Un po’ più del solito. A non cambiare, lo sguardo. Sognante, incredulo, profondo: uno sguardo da prime volte. Lo stesso di quel bambino di sei anni. La personalità, invece, è stata quella di un veterano. Non male per una classe 2005 al suo esordio con la maglia dell’Inter in un ottavo di Champions.

Suona quasi strano se si ripensa all’inizio della sua carriera, quando “forse non credeva neanche lui in sé stesso, giocava giusto per divertirsi e le cose gli venivano naturali”. Valerio Colace, suo allenatore alla Tritium, lo ricorda bene: “Era sempre sorridente. Il segreto? L’educazione della famiglia. Sia il papà che la mamma sono super educati, anche quando veniva premiato come miglior giocatore nei tornei erano quasi in imbarazzo per i premi che riceveva”.

Dopo la Tritium, il viaggio di Thomas si è colorato di nerazzurro: prima il Renate, poi l’Inter, nel mezzo l’interesse dell’Atalanta. “Il suo sogno era giocare nell’Inter. Per noi è stato un orgoglio incredibile vederlo esordire”, racconta sorridendo Michele Cossa, responsabile del settore giovanile dei brianzoli. Nella sua voce l’emozione si unisce ai ricordi di quel ragazzo diventato grande. Di quel ragazzo con il numero 52 che correva sul campo di San Siro in una notte di Champions League: alle origini di Thomas Berenbruch.

Dalla Tritium alla Champions, sempre con lo stesso sorriso

In campo inizia tutto per gioco. Con la spensieratezza di un bambino che vuole solo divertirsi, Thomas lascia intravedere le sue qualità a partire dalla Tritium, storica società di Trezzo sull’Adda dove gioca tra pulcini ed esordienti: “Ha fatto due stagioni da noi, 2015/16 e 2016/17, prima di andare al Renate. Era molto talentuoso, ma all’epoca non aveva espresso ancora tutto il suo potenziale. Doveva ancora svilupparlo e crescere ancora. All’epoca era molto solare, sorrideva sempre, veniva al campo, si allenava e faceva belle cose, ma forse non si rendeva conto neanche lui di avere del talento”. A non cambiare mai è il suo sorriso. È quello che ha nelle interviste post partita nella notte del suo esordio in Champions. Ed è lo stesso dei suoi primi passi su un campo da calcio: “Era un bambino che potremmo chiamare modello. Arrivava al campo sorridente e andava via sorridente. Nelle vecchie foto lui è sempre lì che sorride, felice di fare quello che fa”.

Non tutto però rimane come allora. Quelle sue grandi potenzialità inizia presto a tirarle fuori, fino ad arrivare alla Primavera e ora alla prima squadra dell’Inter. E c’è una grande qualità che lo porta lontano: “Se devo essere sincero, all’interno di quella squadra lui non spiccava più di tanto. Aveva delle buone doti, ma la più importante era la continuità. Partiva a 100 all’ora e finiva a 100 all’ora. Però non aveva strappi o giocate funamboliche, non era uno che rubava più di tanto l’occhio”. Ad accompagnarlo c’è sempre una famiglia che lo tiene attaccato alla realtà, senza mettergli alcuna pressione: “Il padre non aveva ambizioni per lui nel calcio, se non quella di portarlo a giocare per farlo divertire”. Un divertimento, sì, ma al primo posto c’è lo studio: “La madre era titubante di fronte a un percorso nei professionisti, perché sarebbe aumentato l’impegno e la scuola era importante, poi ha trovato il giusto equilibrio”. Tra i professionisti, inevitabilmente, alla fine ci va, fin da subito in nerazzurro. Non quello dell’Atalanta e non ancora quello dell’Inter: “A Bergamo lo seguivano, poi, forse per vicinanza da casa, è andato al Renate”.

Credit: AC Renate

Il liceo, la Sardegna e la chiamata dell’Inter

Il nerazzurro, dicevamo. Una storia nel segno di quei colori. Un viaggio iniziato a Renate, un piccolo paese in Brianza. “Quando era alla Tritium capimmo subito il suo talento e riuscimmo ad anticipare altri club. Ci avevamo visto giusto”, racconta Cossa. Visione di gioco e forza fisica, Thomas fin da subito fa la differenza: “Arrivò nella stagione 2017/18 con l’U13. L’anno successivo giocò sotto età, ma l’esplosione arrivò la stagione dopo con gli U15 nazionali. Lo si capiva: era un predestinato”. L’educazione della famiglia come base di partenza: “Fondamentale. Non è un caso il percorso che ha fatto. Non è un caso. Si è sempre impegnato molto anche a scuola, faceva lo scientifico e aveva grandi voti. Un ragazzo serio e umile in tutto”.

Talento e valori chiari. Arriva la chiamata dell’Inter: “In quella stagione vista la collaborazione con loro. Io e il vicepresidente Carlo Roda lo segnalammo ai nerazzurri. Lo seguivano già. Samaden venne a visionarlo. Bastarono due partite per decidere di prenderlo. Restò fino a fine anno da noi e poi andò da loro”. Il ricordo più bello? “Ne ho tanti, uno è quello di un torneo in Sardegna. Lo vincemmo, fu protagonista. Aveva già una personalità importante, vederlo giocare era uno spettacolo. Oggi mi ricorda Barella”. Dal nerazzurro al nerazzurro: “Ha realizzato il suo sogno. È interista, è dove vuole essere. Con i giusti step può diventare protagonista con quella maglia. È il nostro orgoglio”.

A cura di Simone Solenghi e Nicolò Franceschin

Nicolò Franceschin

Nato nel 1997 tra Milano, Como e Lecco. Laureato in Giurisprudenza, ma ai codici ho preferito una penna. Cresciuto con Maradona (il calcio), ma anche Ronaldinho e Sneijder. Il fascino del numero 10. Credo nella forza delle parole. Verità e narrazione. In giro in macchina per stadi, campi e strade alla ricerca di nuovi colori da scrivere, perché ognuno ha una sua sfumatura. Le note del telefono che si riempiono di storie, alcune il cui finale è ancora tutto da scrivere. Una di queste è la mia. Raccontare emozioni e dare voce a chi non ce l’ha.

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