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Batistuta: “Il calcio? Mi sono allontanato io. Voglio raccontare la mia storia”

El numero Nueve. Un titolo importante, con un numero e una maglia importanti. E soprattutto un protagonista importante. La visita in Italia di Gabriel Batistuta di questi giorni è fatta per presentare il film diretto da Pablo Benedetti. “Un’idea a cui ho subito detto di sì” ha detto oggi Batistuta a Sky, “perché mi hanno presentato il progetto di raccontarmi come uomo. Non come giocatore. Avevo specificato che non si facessero domande ad allenatori o a tifosi su di me, e nemmeno a me sul calcio: la gente sa cosa penso. E poi i miei gol li hanno visti tutti. Volevo raccontare la mia vita, da dove venivo, far capire ai ragazzi della mia regione dell’Argentina (Avellaneda, ndr) che inseguire i propri sogni è possibile. Si tratta di una zona molto difficile in cui vivere, ma con tanto sacrificio qualcosa si può ottenere. Si racconta un percorso di sacrificio che nessuno sa. A volte è molto dura, ma se uno ha un obiettivo ben preciso e chiaro, può farcela“.

Sudore e fatica. Senza smettere di sognare. La lezione di Batistuta parte da questo e continua con il suo personale sogno. Quello di arrivare in Italia. “Venni a Viareggio, per il Torneo. La prima città che vidi fu Roma: ho fatto una foto sotto il cartello con il nome e con le braccia aperte in segno di esultanza. Poi, guarda caso, la prima partita che ho visto in Italia è stata proprio Fiorentina-Roma. Non credo nel destino e nei numeri, ma a ripensarci devo dire che sembra davvero incredibile. Dopo lo scudetto, ho rifatto la stessa foto…“. Anche perché a Firenze e Roma Batistuta è diventato un idolo. “Vivo la mia vita in queste città, soprattutto a Firenze, in maniera molto diversa. Molto meglio. Quando giocavo sentivo il peso della responsabilità. Volevo far contento tanti tifosi, mi sentivo sempre in mezzo alla battaglia. Per questo sembravo scontroso quando magari passeggiavo per il centro: volevo rilassarmi e invece mi veniva sempre chiesto di calcio dalla gente che mi incontrava. Se perdevamo, l’argomento erano le cause della sconfitta; se vincevamo, era sui nuovi obiettivi. Ora è tutto diverso: riesco a ricambiare finalmente l’affetto che prima invece non riuscivo a dare. Sono più amabile, sorridente e rilassato. Sento Firenze come casa mia: sono arrivato a vent’anni, andato via a trenta con tre bambini. Questo mi è rimasto dentro, e sono tornato a casa“.

L’accoglienza che gli è stata riservata è stata bellissima. Una riconciliazione con il calcio dopo tanto tempo. “Ma non è sparito dalla mia vita” dice Batistuta. “Mi sono allontanato io per quel grave problema alle caviglie“. Della sua malattia parla però pochissimo. “Mi sentivo arrivato a un punto in cui pensavo di non avere più niente da dare al calcio. Come se avessi speso ogni goccia di sudore. Mi sono fatto io da parte, ma il calcio è rimasto sempre presente“. Lo si capisce quando parla del presente e dei suoi vecchi compagni che ora hanno fatto carriera. “Di Francesco allenatore della Roma? Non me lo aspettavo, a dirla tutta. Ma già da giocatore parlava tanto di calcio. Mi fa piacere vedere che stia avendo successo. Con il Sassuolo ha fatto molto bene, spero faccia altrettanto alla Roma“. Forse come Capello? Del suo allenatore ha mantenuto un ricordo affettuoso: “Così come di Candela, Totti, Cafu, Aldair, Samuel e tanti altri campioni. Siamo riusciti a vincere uno Scudetto, una cosa difficilissima a Roma. Ricordi splendidi“.

Ma tra tutti i numero nueve in Italia, chi assomiglia di più a Batistuta? “A me è sempre piaciuto Higuain. Ha giocato tre Mondiali, ha avuto le sue occasioni. Penso che ora sia arrivato il momento di Icardi, ma ci sono anche Dybala e Simeone: tutti giocatori con grandissimi margini di miglioramento. Sono persone serie che hanno voglia di migliorarsi“. Proprio come Batistuta. La sua lezione, forse, può arrivare anche a loro.

Redazione

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