Categories: Interviste e Storie

Vicini all’Italia, inseguendo (ancora) un gol

Pensi ad Azeglio Vicini e non può venir in mente altro che Italia. L’aria rassicurante e paterna, di chi quella Nazionale l’aveva coltivata negli anni. U23, U21, prima squadra. La gavetta di una volta (ripresa in parte solo oggi, tra Di Biagio e Nicolato), quella del commissario tecnico federale. L’ultimo, prima della rivoluzione sacchiana. Fino a quel Mondiale a casa nostra.

L’apice della carriera dell’allenatore, forse anche di un momento unico nella storia italiana. Gli anni del Ciao e del walkman, dell’entusiasmo per un’Europa senza muri e per un paese fuori dagli anni di piombo. Leggero, prima del fulmine Tangentopoli. Quando ancora ‘Forza Italia!’ era puro incitamento per Schillaci e compagni, sulle note di Bennato e Nannini, inseguendo un gol fino a quel maledetto 3 luglio 1990.

Vicini gentiluomo e trionfatore mancato. Perché quel Mondiale, come Totò capocannoniere e l’Uomo Ragno imbattibile (518 minuti, ancora record), era troppo perfetto per non essere vinto. Invece è arrivata l’Argentina, il guru Maradona che riesce a dividere il San Paolo a metà. La famigerata uscita a vuoto di Zenga sulla spizzata al veleno di Caniggia – ma siamo poi tanto sicuri, che rimanendo in porta l’avrebbe presa? –. Le “immagini che non avremmo mai voluto commentare”, leggasi con la voce di Pizzul, gli italiani incollati al teleschermo (87,23% di share: altro primato assoluto).

“Abbiamo sempre meritato molto di più, di quello che alla fine abbiamo raccolto”

Non sarebbe bastato il terzo posto (dopo le semifinali dei precedenti Europei), l’aver lanciato Baggio e valorizzato un gruppo tutto suo, per riabilitare tecnicamente l’allenatore. Prima e dopo bresciano d’adozione, in campo e in panchina, fino alla morte il 30 gennaio di due anni fa. Al termine del Mondiale, Vicini mancò le qualificazioni a Euro ’92 e fu esonerato da Matarrese, poi non lasciò il segno nella sua Cesena e a Udine. Si ritirò già nel 1993, a 60 anni. 17 da allenatore di cui 15 da ct. Una lunga parabola azzurra.

Cosa resta oggi di quelle notti magiche? La voglia di riviverle, al più presto. Bologna e gli Azzurrini, durante gli ultimi Europei U21, avevano dato giusto il sospetto di un’antica emozione. Ma sarà di nuovo a Roma, il prossimo giugno (con Mancini ancora in panchina, in qualche modo), che l’Italia potrebbe trovare l’alchimia dei grandi. Anzi: non di nuovo. Quel filotto d’un fiato – Austria, USA, Cecoslovacchia, Uruguay, Irlanda – resta intoccabile, nel mito della sua incompiutezza. Ve li riuscite a immaginare l’inno del Mondiale su Spotify, Schillaci che diventa un meme? No, meglio di no.

“Cambierei solo una cosa di quella enorme e stupenda avventura”, dirà poi Vicini. Il risultato di Italia-Argentina. Perché noi abbiamo sempre meritato molto di più, di quello che alla fine abbiamo raccolto”. Forse è anche per questo, che quella dell’allenatore gentile rimane una delle Nazionali più amate di sempre.

Francesco Gottardi

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