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Il post Zidane e la Liga mancante: il ritorno di Ancelotti al Real

Un passo indietro lungo cinque anni per provare a completare l’opera. Carlo Ancelotti ha lasciato il Real Madrid nel 2015 dopo aver vinto sei trofei in due anni: Copa del Rey, Supercoppa di Spagna, Supercoppa Europea, Mondiale per Club e la storica Décima Champions League di Lisbona, la prima del ciclo poi completato dal tris di Zidane.

 

 

Tutto quello che c’era a disposizione tranne la Liga, unico pesante vuoto della sua carriera che adesso avrà la possibilità di riempire: è l’unico titolo che gli manca al Real così come è l’unico dei cinque grandi campionati che non ha mai vinto. In carriera è stato campione nazionale ovunque: Serie A, Premier League, Ligue 1, anche la Bundesliga, ma ciò che manca è proprio il campionato spagnolo.

 Troppo ghiotta quindi l’opportunità di tornare indietro e giocarsi un’altra chance nella terra in cui è stato ribattezzato Carlo Magno, amato per la storia che ha scritto con il Real Madrid. Un segno indelebile, perché artefice di quella cavalcata conclusa a Lisbona con la coppa più attesa e desiderata della storia del madridismo, vinta peraltro contro i rivali cittadini dell’Atlético a cui è stato negato il primo titolo europeo di sempre. L’era del secondo Grande Real è cominciata con la sua firma ed è continuata con la sua eredità: perché dopo la sfortunata parentesi Benítez, durata la miseria di cinque mesi, il subentrante è stato il principale allievo di Carlo Ancelotti, quel Zinedine Zidane che cresciuto sotto la sua ala protettrice come vice si è trasformato poi nell’unico allenatore a vincere in maniera consecutiva tre Champions League sotto l’attuale nome.

 

 

Una storia che si interrompe e riparte proprio nel segno di Zizou: stavolta è Ancelotti a raccogliere la sua eredità e non il contrario, ma con la tessa missione, quella di dare a questo Real Madrid una dimensione internazionale che gli permetta di essere competitivo per vincere ogni torneo. Contorni già visti quest’anno, ma sfumati poi in un finale in cui era finita la benzina e che ha visto chiudere la squadra senza alcun titolo in bacheca nonostante tanti bei piazzamenti.

Florentino Pérez in Ancelotti ha visto l’ideale punto di partenza per il nuovo ciclo: l’idea italiana era nell’aria da tempo, con i profili di Allegri prima e Conte poi che hanno aleggiato attorno a Valdebebas per alcune settimane, ma senza concretizzarsi. D’altronde il Made in Italy sulla panchina blanca ha sempre il suo perché: nelle quattro stagioni con un italiano in panchina è sempre arrivato almeno un titolo pesante. Servivano certezze, più che scommesse, cosa che forse ha rinviato l’approdo in prima squadra di Raúl, a oggi ancora allenatore del Castilla che spera di poter ripercorrere la carriera di Zidane, guardando Carlo Magno da vicino.

 

 

È in generale un anno di grandi ritorni: da Laporta al Barcellona ad Allegri alla Juventus, fino a questo di Ancelotti al Real Madrid. Tutte scelte per resettare un’identità vincente dei rispettivi club. E in questo caso anche per dare alla carriera di un allenatore vincente come lui anche quel trofeo che gli permetterebbe di completare definitivamente il Grande Slam dei titoli nazionali più importanti d’Europa.  

Simone Gamberini

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