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La Roma ritrova Zeman, ricordi agrodolci con il boemo in panchina

Ti innamori di una squadra di Zeman per il suo gioco offensivo, la sua spettacolarità e perché ogni partita rimane imprevedibile. Riconosci una squadra di Zeman subito anche prima del fischio d’inizio. La centrata a centrocampo con 8 giocatori disposti sulla linea mediana pronti ad andare in attacco. Ma la riconosci anche quando si trova sotto per 3 a 1 dopo appena mezz’ora e nei primi due minuti del secondo tempo riesce a rimontare. La riconosci quando vedi che nella stessa partita al 78’ sei sul 4-4, pensi che sia finita, ma poi subisci il gol della sconfitta. Fu questa una delle ultime apparizioni di Zeman all’Olimpico nel ‘99. E quella era un Roma-Inter che molti tifosi giallorossi si ricorderanno.

Come cantava Antonello Venditti: “Il tempo sta scadendo ormai, tieni palla dai, il pareggio mai”. Era la canzone La coscienza di Zeman e l’album era Goodbye Novecento, era l’arrivederci di Zeman alla Roma, non un addio. Le strade si sono incrociate di nuovo 13 anni dopo, stesso boemo di sempre. Di nuovo la Roma avanti di due gol e poi la papera di Goicoechea che si butta dentro la propria porta un cross innocuo. Il 4 a 2 finale per il Cagliari segnerà l’ultima di Zeman sulla panchina della Roma. Come disse lui: “L’ultima opportunità di allenare una grande. Uno Jedi come lo definì il Washington Post qualche anno fa. Difensore della Pace e della Giustizia. La stessa che lo ha reso eterno nemico della Juventus per il presunto uso di sostanze dopanti della squadra bianconera. Se ne andò via dalla Roma l’anno prima dello scudetto giallorosso, a suo dire perché il Presidente Sensi aveva capito che con lui non avrebbe mai potuto vincere. Questioni di poteri forti come li chiama lui. Vincente però lo è stato nelle squadre piccole.

Soprattutto a Pescara: sempre con il suo 4-3-3 ed il gioco offensivo. “Il calcio è cambiato? Sono rimaste sempre le linee, le porte e i palloni”. Filosofia minimalista. Bohemians e non bohémien. Malgrado sia considerato un santone, per lui il calcio rimane una cosa semplice, senza troppi giri di parole: “Quando spingiamo tre attaccanti devono essere vicino l’area di rigore e due dei tre centrocampisti vengono avanti, più uomini hai maggiore è la possibilità di segnare”. Una questione matematica semplice, ma che lo ha reso famoso anche per la sua scarsa propensione difensiva. Lunedì sulla panchina del Pescara avrà una delle ultime occasioni per raggiungere una salvezza insperata. Sarà la solita squadra, 4-3-3 offensivo nonostante ogni logica consigli un atteggiamento più prudente. Intransigenza tattica, questione di idee, da 48 anni è sempre lo stesso Zeman.

Riccardo Setth

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