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La medicina, il basket e l’Inter: Bisseck, Trust The Process

#TrustTheProcess. Se vi capita di scorrere tra i post del profilo Instagram di Yann Aurel Bisseck troverete una costante. Sì, proprio quell’hashtag. E forse per raccontare e conoscere il centrale tedesco bisogna partire da quello. Perché in quelle parole si intrecciano la storia e le sfumature del classe 2000: la sua positività, la passione per il basket, la capacità di rialzarsi. Anche se la sua strada sarebbe potuta essere un’altra. Quale? La medicina, ma ne parleremo più avanti. 

In estate è stato il nome meno noto tra i nuovi acquisti nerazzurri. Si è presentato con il suo sorriso estroverso, le treccine ribelli in testa e i suoi 196 centimetri. I mesi iniziali utili per imparare. Poi le prime opportunità per dimostrare la bontà dell’investimento fatto dall’Inter. Contro il Bologna è arrivato il suo secondo gol, questa volta decisivo per i tre punti. Una esultanza alla Embiid, suo idolo in NBA, mimando un tiro a canestro. Una storia partita dalla Germania, passata per l’Olanda, il Portogallo e la Danimarca, fino all’arrivo in Italia. Il calcio, Embiid, una fascia da capitano e un paio di Crocs: Bisseck si è conquistato l’Inter. 

Riscatto

Guardandolo, qualcuno potrebbe scambiarlo per un giocatore di basket. Per l’altezza e, vedendo l’esultanza dopo il gol al Dall’Ara, anche per le movenze. Ma è il calcio la passione del piccolo Yann, trasmessagli anche dai genitori. Il calcio e la medicina. Già, perché Bisseck avrebbe voluto fare il cardiochirurgo, studiando per diventare un dottore. A 16 anni però si profilano con chiarezza i contorni del suo cammino. Primo contratto da professionista e debutto con il Colonia il 26 novembre 2017 in una partita contro l’Hertha Berlino: diventa l’esordiente tedesco più giovane della storia della Bundesliga. Il percorso sembra tracciato, ma il destino ha disegni diversi. La ricerca della continuità con le esperienze all’Holstein Kiel, al Roda e al Vitoria Guimaraes, i problemi fisici che ne frenano la crescita. 

Il riscatto arriva in terra danese con la maglia dell’Aarhus, di cui diventa uno dei pilastri. Dell’Aarhus e dell’Under 21 tedesca negli Europei, di cui è anche capitano. Un arrivo, quello in terra danese, che si è concretizzato grazie… a una “spifferata”. Già, non c’entrano osservatori o procuratori. A consigliare a David Nielsen, allenatore del club, è il figlio Noah Jean Holm, compagno di Bisseck al Vitoria Guimaraes, come rivelato a La Gazzetta dello Sport. In estate l’Inter decide di investire i 7 milioni previsti dalla clausola. Un arrivo in silenzio, un nome sconosciuto a molti. In pochi mesi è cambiato tutto. Il numero 31 ha segnato, una volta ancora. 

Sorriso

Coerente. Quello di Bisseck nel mondo interista è stato ed è sempre di più un inserimento coerente. Per il giocatore che è e per il suo spessore umano. Da una parte si sta dimostrando un perfetto interprete del ruolo di “braccetto” negli schemi di Simone Inzaghi. Personalità nel proporsi, capacità di impostazione, forza fisica. L’esuberanza propria della sua età, combinata a una matura consapevolezza. E per dimostrarlo ha saputo aspettare. I primi mesi passati a osservare e imparare. L’allenatore e i compagni come maestri. Poi, complice anche l’infortunio di Pavard, ha saputo ritagliarsi un ruolo da protagonista nelle rotazioni nerazzurre. Mentalità e, soprattutto, positività. Quella positività che gli ha permesso di essere da subito parte integrante del gruppo, come dimostrano quelle risate dei compagni per le Crocs sfoggiate ad Appiano Gentile. E il suo gol è la perfetta immagine dell’universo nerazzurro. Perché arriva da uno che titolare non lo è quasi mai. Perché è costruito da difensori capaci di essere attaccanti. Da Bologna a Bologna, l’Inter è cresciuta. Cresciuta come quel ragazzone di 196 centimetri che con il suo sorriso ha contagiato il popolo interista. Semplicità e positività, #TrustTheProcess.

Nicolò Franceschin

Nato nel 1997 tra Milano, Como e Lecco. Laureato in Giurisprudenza, ma ai codici ho preferito una penna. Cresciuto con Maradona (il calcio), ma anche Ronaldinho e Sneijder. Il fascino del numero 10. Credo nella forza delle parole. Verità e narrazione. In giro in macchina per stadi, campi e strade alla ricerca di nuovi colori da scrivere, perché ognuno ha una sua sfumatura. Le note del telefono che si riempiono di storie, alcune il cui finale è ancora tutto da scrivere. Una di queste è la mia. Raccontare emozioni e dare voce a chi non ce l’ha.

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