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Alle origini di Vinicius: “Tra povertà e pallone, la sua storia”

Vinicius con Cacau

Per fermare quel bambino serve il motorino”, commentano unanimi i genitori sulle tribune dei campi di Rio.

Increduli per le qualità e la velocità di quel giovane. Qualche anno dopo, non è così difficile da credere. Quel ragazzino era Vinicius Jr”. A raccontarlo è Carlos Eduardo Abrantes, per tutti Cacau. Chi è? Semplice, lo scopritore del numero 7 del Real Madrid.

Ora, dopo la delusione del Pallone d’Oro, in due giorni ha vinto il Fifa Best Awards come miglior giocatore del 2024 e la Coppa Intercontinentale con il Real. Qualche mese prima, anche una finale di Champions conquistata con un suo gol. Un gol come i tanti segnati in quei campi fatti di terra e poca erba nelle periferie brasiliane. “Vinceva il premio dí capocannoniere ogni volta”.

Ora è tra i Galacticos. Al tempo, invece, correva insieme alla mamma per prendere l’autobus che lo portasse agli allenamenti. Povertà, quartieri pericolosi e un pallone scucito come sfondo.

Sognava il Real Madrid, ora ne è il simbolo. Da ragazzo era molto timido, il pallone era la sua possibilità di esprimersi”. Lì, sulla fascia sinistra: “Fin da piccolo amava giocarci. Accelerava, rientrava e gol”. Alle origini di Vini.

La povertà, la famiglia e la scuola calcio

Inizia tutto a São Gonçalo, un comune di Rio de Janeiro “composto da gente umile e non benestante”. Povertà e quartieri “pericolosi come l’intero stato di Rio de Janeiro”. Tante le persone costrette a spostarsi per poter lavorare: “Si trovano più opportunità lontano da lì”. Un po’ come successo al papà Vinicius José: “Faceva parte di un’azienda di installazione di reti Internet di San Paolo. La madre, invece, restò a São Gonçalo per occuparsi di lui e della sorella. Una famiglia tranquilla e laboriosa”.

L’infanzia del brasiliano si divide tra una biciclettacon cui andava a scuola” e gli allenamenti in una delle scuole calcio del Flamengo di Cacau: “Nella nostra piccola scuola cerchiamo, insieme alle famiglie, di formare cittadini attraverso lo sport“. Vinicius Junior varca le porte del centro sportivo “a 6 anni. Lo portò suo padre. Fu lui a parlarmi del figlio”. “Devi vederlo”. Anche il piccolo Vini è convinto: “Il centro era vicino a casa sua e la sua famiglia è da sempre tifosa del Flamengo, è il club del suo cuore”.

Vinicius con la maglia del Flamengo

La Nike, le ore in autobus e il Real Madrid

Bastano pochi allenamenti per “accorgersi di un talento fuori dal comune. Non avevo mai visto nessuno come lui. A sei anni aveva già il dribbling che oggi tutti ammirano. Sognava la maglia della Nazionale e ammirava Cristiano Ronaldo”. Gli allenamenti “con i ragazzi più grandi di lui. All’età di sette anni affrontava già i bambini di nove”. Quel “motorino per stargli dietro” e un contratto con la Nike firmato dopo poco tempo, sotto gli occhi di Cacau è nata una stella.

Vinicius entra nel Flamengo: “Ogni giorno doveva farsi km e km in autobus per arrivare al campo. Si faceva più di tre ore di viaggio per inseguire il suo sogno”. L’Europa nota il suo talento: “Lo volevano Real e Barcellona, sappiamo com’è andata”. Il viaggio in Spagna, un periodo di ambientamento e quei dribbling portati al Bernabeu: ora tutti conoscono quel bambino. Il Pallone d’Oro è sfumato, è vero “ma arriverà in modo naturale”. Con un Paese pronto a sostenerlo: “Per noi in Brasile Vini è già un vincitore”. “Vedere la povertà da bambino e poter arrivare qui… sembrava impossibile salire su questo palco, è molto importante per me”. Aspettando il Ballon d’Or.

Nicolò Franceschin

Nato nel 1997 tra Milano, Como e Lecco. Laureato in Giurisprudenza, ma ai codici ho preferito una penna. Cresciuto con Maradona (il calcio), ma anche Ronaldinho e Sneijder. Il fascino del numero 10. Credo nella forza delle parole. Verità e narrazione. In giro in macchina per stadi, campi e strade alla ricerca di nuovi colori da scrivere, perché ognuno ha una sua sfumatura. Le note del telefono che si riempiono di storie, alcune il cui finale è ancora tutto da scrivere. Una di queste è la mia. Raccontare emozioni e dare voce a chi non ce l’ha.

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