Il mondo del calcio piange Gianluca Vialli. Attaccante, allenatore, opinionista, dirigente: la carriera Vialli è costellata di successi memorabili e gol spettacolari, con cui ha segnato il calcio italiano sul campo e fuori.
Vialli ha legato il suo nome soprattutto a Sampdoria e Juventus, le due maglie che hanno segnato maggiormente la sua carriera. Per i titoli, ma non solo. Perché Vialli per anni è stato simbolo e trascinatore con questi colori. Idolo per tifosi, leader sul campo per i compagni.
Nasce, cresce e gioca a Cremona, Gianluca. E mette in mostra da subito le caratteristiche che segneranno la sua carriera: dedizione, intensità ma anche fiuto del gol. Anche quando il ruolo richiedeva più sacrificio che riflettori: con Mondonico alla Cremonese, Vialli viene impiegato spesso come esterno. L’impegno non viene mai a mancare, i gol sono 10, e con lui i grigiorossi ottengono la promozione in Serie A nella stagione 1983/1984. L’ultima in Lombardia prima del grande salto.
Il blucerchiato, il colore di una vita. Amore a prima vista. È qui che Vialli conosce un altro ragazzo classe 1964, attaccante come lui, marchigiano. Si chiama Roberto Mancini, e presto verranno ricordati come i “gemelli del gol”. Mancini e Vialli, Vialli e Mancini. L’intesa va crescendo, così come i gol (di Luca) e gli assist (di Roberto). La consacrazione arriva nella stagione 1990/1991, con lo scudetto cucito sulla maglia della Sampdoria per la prima (e unica) volta nella storia del club: l’ultima firma su quella magica stagione è sua. E quella maledetta Coppa dei Campioni persa contro il Barcellona… Avrà modo di rifarsi, Gianluca, ma non con la maglia della Samp.
Era il momento di partire, per Stradivialli: lo aveva soprannominato così Gianni Brera, paragonando i suoi gol spesso spettacolari agli Stradivari. Dopo 8 stagioni e 5 trofei a Genova, arriva la Juventus. Quattro anni, non di più: tanto basta a Gianluca per entrare nel cuore dei tifosi. Da protagonista, da capitano.
Simbolo della prima era Lippi, leader sempre più maturo. Compagno di trionfi con Baggio prima e Del Piero poi, l’elemento di continuità nel passaggio di consegne tra due fuoriclasse del calcio italiano. Dal ’94 Marcello Lippi lo mette al centro del suo calcio iper-aggressivo che riporta lo scudetto a Torino dopo 9 lunghissimi anni, l’addio del Divin Codino gli consegna la fascia da capitano. E la Champions del ’96 lo consegna alla storia. Due gol, entrambi in semifinale, divisi tra andata e ritorno. Poi l’Ajax, il gol di Ravanelli, i rigori. E l’addio, da campione, verso l’Inghilterra.
La carriera da allenatore inizia prestissimo e finisce altrettanto velocemente. Al Chelsea, Vialli si siede in panchina ancora prima di ritirarsi, nella stagione 1998/1999. Non faceva per lui: Gianluca torna a vivere il campo da gioco da dirigente FIGC, sempre al fianco di Roberto Mancini alla guida della Nazionale. Quella stessa Nazionale con cui, da giocatore, non era andata benissimo. Un amore mai decollato, la delusione di Italia ’90: con l’Azzurro, c’era un conto in sospeso.
E il destino ha voluto ripagarlo. L’abbraccio a Wembley dopo la finale di Euro 2020 è l’immagine che chiude un cerchio. Un trionfo meritato, l’ultimo della sua splendida carriera. Un pianto liberatorio, di gioia, condiviso con chi negli anni è stato compagno, amico, fratello. Un viaggio stupendo, interrotto troppo presto. Un addio che lascia un vuoto incolmabile per chi ama il calcio.
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