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Viaggio nel mondo di Federico Chiesa, il nuovo gioiello della Fiorentina

Ecco, guardi. Questa è la foto che ci ha portato lui“. In primo piano un Federico Chiesa più concentrato che sorridente. “Alla Settignanese, con affetto” e autografo sullo scatto dell’esordio in A. Allo Stadium, contro la Juventus. “Ne abbiamo lanciati tanti qua, da Tonelli a Tognozzi. Ma lo sa che Federico è il primo che esordisce in A con la Fiorentina? E che segna un gol in Europa?”, racconta un orgoglioso Maurizio Romei. Doppiamente felice, adesso, per il rinnovo con cui la Fiorentina lo ha blindato fino al 2021 e per il primo sorriso anche in Serie A, contro il Chievo. “Peccato che l’abbia scritto in nero, si legge poco…”, commenta. Da queste parte è un vero factotum: allenatore, scout, direttore generale, in passato anche fondatore di una società che a Firenze si è ritagliata in uno spazio importante. “L’unica scuola calcio qualificata in Toscana”, c’è scritto chiaro e tondo su uno striscione all’ingresso. Il rosso e il nero, ovunque. Il simbolo? Il diavolo. Milanello? No, anche se la mentalità è quella. Un campo in erba naturale, uno sintetico, mini-campi per la scuola calcio. Un centro medico, allenatori qualificati. Tre gabbie, di cui una “in sabbia, le dico che così ho portato a zero gli infortuni” sottolinea subito Romei. La sua corsa sulle dune in preparazione è famosa in città, e lui ne va orgoglioso tanto da intitolarla a se stesso. Il rosso e il nero, dicevamo. La Settignanese però è incastonata nel verde delle colline tra Settignano e Firenze: una meraviglia. Ma i colori a cui sono più legati da queste parti sono altri: il viola e l’azzurro. Perché la scuola calcio è legata alla Fiorentina e perché Coverciano è lontano due passi, il tempo di attraversare una piccolissima strada. “E noi abbiamo allenato anche la Nazionale campione del mondo, guardi qua…”, una parete piena di fotografie. Inzaghi, Gattuso. Anche Cassano. “E poi vede? Quella è la foto dell’amichevole contro la Fiorentina nel 2011, per i nostri 40 anni. Ci fecero un bel regalo…”. Contraccambiato, però. Perché un regalo la Settignanese ai viola l’ha fatto eccome. E allora riportiamo Chiesa al centro del villaggio. “Enrico ce lo portò qui che aveva 5 anni, era piccolissimo”. E a 10 la Fiorentina se lo è portato via… “Sì, erano sicuri di lui. Soprattutto Stefano Cappelletti, mi disse “Maurizio, guarda che questo farà strada”. E aveva ragione”, sospira Romei. Com’era il giovanissimo Federico? “Uguale al padre, identico. Fisicamente e non solo. Stesse movenze, stesse caratteristiche. Meno punta, più esterno. Ma calciava già con entrambi i piedi, e poi…”. Sì? “Il carattere. Umiltà, voglia, generosità. Come il padre, Enrico e sua moglie non mi hanno mai rotto le scatole. Fin dall’inizio. Gli danno tanti consigli sì, lo hanno educato bene. Ma non sono invadenti, non sono montati. Eppure, forse, Enrico se lo potrebbe anche permettere…”.

Sulle tribune del “Romagnoli”, gli osservatori della Fiorentina ci sono fissi. C’erano anche allora, quando Federico giocava a 5 o a 7 e gli avversari non erano Juventus o Inter, ma Scandicci o Cattolica Virtus. Di sabato o domenica mattina, rigorosamente. E lo allenava un certo “Kurt Hamrin, ha iniziato con lui. Sì, perché io penso che il calcio lo debba insegnare chi lo ha vissuto. Ho avuto Albertosi, Mareggini, Tenda, Riganò… tutta gente che ha giocato ad alti livelli. Sono fatto così”, aggiunge Romei. E glielo consentiamo. Da Hamrin a Sousa: “E’ stato bravissimo, davvero. Lo ha saputo miscelare bene, lo ha fatto crescere e lo ha inserito con i giusti tempi. E guardi come è andato a giocare in Primavera mercoledì scorso: è sceso umile, con la testa giusta. Assist e gol, che devo aggiungere?”. Niente, sarebbe superfluo. “Se aspetta un po’, arriva la mamma di Federico con le foto di quando era piccolo. Mi ha scritto che me le avrebbe portate quando accompagnava il fratello all’allenamento”. Ah, un altro Chiesa? “Sì, Lorenzo. E’ un 2004, lo alleno io. Tutto mancino, può fare anche la punta rispetto a Federico ma ha meno numeri. Caratterialmente è più “guascone”, mentre il fratello maggiore era già mentalmente portato al grande calcio a quei tempi. Gli ha trasmesso tutto la sua famiglia”. In tribuna per ora ad applaudire il fratellino non lo hanno ancora visto, ma “spero di averlo qui il 21 dicembre per salutare la scuola calcio prima delle feste e consegnare i regali di Natale ai nostri bambini”. E’ questo l’appello che Romei lancia a quel Federico che adesso gioca e segna con i grandi. E magari, un giorno, basterà attraversare la strada per salutarlo: “La Nazionale? E’ un augurio che gli faccio. Ma lasciamolo crescere piano piano…” (anche se Ventura ha già detto che lo chiamerà a maggio), Pensiero condiviso anche da papà Enrico (che da queste parti ha fatto anche l’istruttore in un camp estivo), la telefonata il giorno dopo il gol in Europa non poteva mancare: “L’ho sentito contento, ma giustamente ha sottolineato che doveva evitare l’espulsione. Per fortuna non è stata decisiva…”. E Maurizio Romei è uno che di figli d’arte se ne intende, visto che ha allenato i due maschietti di casa Renzi (“Il più grande è più forte”), il figlio di Verdù (“Per me diventerà più forte del padre”) e quello di Borja Valero (“E’ un 2010 che gioca con i 2009, è bravo”). E poi in passato Rui Costa, Di Livio… una piccola cantera. E mentre aspettiamo la signora di casa Chiesa, ci accorgiamo che ogni campo è riempito da una marea rossonera. Bambini di tutte le età, istruttori, sorrisi. E disciplina: “Se continui così vai a fare la doccia”, urla un allenatore. E’ uno spettacolo comunque, un lungo slalom tra, chissà, i talenti di domani. Ci guida Maurizio Romei, ci porta fin dal piccolo Lorenzo. Dodici anni. “Vero che sei più forte te di Federico?”. E lui risponde con un sorriso, forse ripensando alle tante sfide perse alla playstation. I due eredi di casa Chiesa sono i figli perfetti, ce li descrivono così. Educati, studiosi, sempre felici. E mentre Alvaro Valero segna sotto gli occhi di mamma Rocìo, Maurizio ci consegna la foto che custodirà con orgoglio: “Lo riconosci Federico?”. Mmm, difficile. Neppure lui senza occhiali ci riesce. Chiede aiuto a Lorenzo: “Eccolo!”. Occhi vispi, capello biondo. Accosciato in terra in una foto di squadra di anni fa. Dal rossonero al viola, con lo stesso sorriso. E molta più concentrazione. La dinastia Chiesa continua. E tutto è (ri)partito da qui.

Guido Barucco

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