“Vedi, sarebbe una rivincita per me. Ci tengo, ci tengo tanto. Sono venuto a Como per riprendermi la Serie A sul campo. E poi se lo meritano i miei compagni, la società, la gente…”. La profondità e la leggerezza che si incontrano nella voce di Simone Verdi raccontano tanto. Raccontano i vissuti e le pieghe del suo cammino. Le note della sofferenza di mesi difficili e una maturità raggiunta con l’esperienza. La consapevolezza del proprio ruolo e la passione di un bambino che giocava nella taverna di casa con il fratello. E soprattutto la storia di un talento raro per l’autenticità della sua qualità e la bellezza della sue forme di espressione. Con tutto ciò che, a volte, il talento porta con sé, ovvero il peso delle aspettative e il “cosa sarebbe potuto essere”.
“Avrei potuto fare di più? Probabilmente sì. Però ho avuto grandi soddisfazioni e spero di raggiungerne altre”. Simone Verdi ci ha portato dentro quelle sfumature del talento. Ha fatto innamorare i tifosi di quelle piazze in cui si è sentito apprezzato. Un giocatore che, come lo descrisse Sabatini, “deve sentirsi al centro di una vicenda impossibile. Il talento va coccolato e incentivato”. Il Milan, l’amore di Bologna e Salerno, una doppietta ambidestra e le ambizioni del suo Como: in viaggio con un fantasista. Così perfettamente imperfetto, Simone Verdi.
Un passo indietro. Tra la taverna e i corridoi di casa Verdi due bambini inseguono un pallone: “Ci giocavo sempre con mio fratello”. Il rischio costante di rompere qualcosa: “E… diciamo che qualche urlo da mio padre ce lo siamo presi (ride ndr)”. Una passione, quella per il calcio, forte in tutta la famiglia: “Ci si trovava a casa dei nonni per guardare le partite”. Si inizia nella società del paese, a 8 anni per Simone è già derby. A contenderselo Inter e Milan: “Ho scelto i rossoneri, la squadra che tifavo. Che emozione… ricordo ancora la firma del cartellino con mio papà nella sede in Via Turati”. Due gli idoli: “Ronaldo il fenomeno, e Shevchenko, un esempio per me”.
“I primi anni non giocavo molto, ho avuto qualche difficoltà”. Un incontro lo cambia: “Fulvio Fiorin, un mio allenatore. Mi ha aiutato nel formarmi caratterialmente”. La Primavera con Stroppa: “Era innamorato di me come giocatore”. Anche se “prima di una partita con l’Inter si raccomandò di andare a letto presto. Io e un mio compagno avevamo fame e andammo al Mc…”. Risultato? “Vincemmo 3-0”. I primi contatti con la prima squadra: “Un gruppo fatto di campioni. Pato il giocatore che più mi emozionava. Un giorno mi chiamò nella sua camera e mi regalò la maglietta”.
Verdi. Simone Verdi. Il nome inizia a conoscersi. Troppo evidenti le qualità in quei piedi. E il talento, si sa, porta con sé il peso delle aspettative: “Quando sono uscito dalla Primavera ho faticato, non ero pronto fisicamente. Sono andato al Torino con Ventura. Da lì è partita la mia carriera. Ogni tappa mi è servita”. I primi importanti sprazzi di fantasia arrivano a Empoli con Sarri: “Un fenomeno. Un maestro da cui imparavi ogni giorno”. Un’esperienza all’estero con l’Eibar: “Una mentalità diversa, si vive il calcio con meno pressione”. Poi la fine di un amore per conoscerne uno più grande. Perché ci sono momenti. Momenti che segnano un prima e un dopo. Scelte da fare per decidere chi diventare e dove andare. L’addio definitivo al Milan, l’arrivo a Bologna. L’emozione attraversa la voce di Simone: “Una città e un club che saranno per sempre nel mio cuore”.
“A Bologna sono diventato grande. Dovevo decidere se fare il salto o rimanere un giocatore qualsiasi. Ho casa lì, mia moglie è di lì, starò lì a vivere. È tutto per me”. Verdi diventa Verdi, un po’ di più. “C’è stato una crescita in termini di consapevolezza. Avevo 24 anni, ero più maturo ma con ancora un po’ di incoscienza. Ero il riferimento per i compagni. Donadoni è stato un secondo padre. Mi volevano bene prima come persona, poi come calciatore”. Perché il talento è così. Va coccolato e tutelato affinché si possa esprimere nella sua totale bellezza e dolce prepotenza: “Hanno saputo come prendermi. Era il mio posto, stavo bene. Pur di rimanere ho rifiutato il Napoli di Sarri. Non so se me l’abbia mai perdonato…”. E per un attimo il ricordo torna a quella partita al Dall’Ara contro il Crotone: “La doppietta su punizione con due piedi diversi. Destro e sinistro? Li uso entrambi da sempre. Per i calci piazzati, invece, tanto allenamento”.
A Napoli ci arriva qualche mese più tardi. Ancelotti ha preso il posto di Sarri: “Un anno particolare. Dei problemi fisici mi hanno rallentato, ma sono stato bene. Tornando indietro con una testa diversa non me ne andrei dopo una sola stagione e aspetterei con più ferocia e meno frenesia”. A Torino poi “gli anni più difficili. Nulla funzionava. Non andavo bene io. Non è stato semplice”. Vivere la sofferenza. Toccarla e accettarla per conoscersi: “Vedi serve anche passare momenti così, ti lasciano insegnamenti importanti e ti permettono di crescere. Però ecco, sono stato male anche nella vita privata per colpa del calcio. Era responsabilità mia che non riuscivo a esprimermi”. La rinascita arriva a Salerno.
Suona il telefono, è Walter Sabatini: “Simone sei convinto di poter salvare la Salernitana?”. “Sì Direttore”. “Ti dico grazie, hai mantenuto la parola”, le parole sussurrate dopo l’impresa. L’affetto della gente, la vicinanza di un uomo che del puro e autentico talento è sempre stato un attento estimatore: la rinascita del talento.
“Dal primo giorno il mio obiettivo è andare in A con il Como. Devo riconquistarla sul campo. Ci tengo davvero, sarebbe una grande rivincita per me”. Un’esperienza dal significato diverso. Per il momento, per le motivazioni, per la consapevolezza maturata: “Si aspettano tanto da me e so quello che posso dare. Sono contento di essere qui. Appena ho capito che non c’erano possibilità di restare in A. Ho accettato subito”. Ambizione. Questo il concetto su cui si fonda l’incontro tra Simone e il club: “Una società che punta a costruire qualcosa di importante e in continua crescita. Quello che ho visto in questi mesi l’ho visto poche volte, c’è tutto per diventare grandi”. Mercato, progetto, prospettive. “Siamo una squadra forte e ben allenata, con Roberts mi trovo bene e in più Fabregas si è calato con umiltà in questa sua nuova carriera nello staff tecnico”.
Verdi e Como si sono cercati, a tratti rincorsi, infine voluti. Era il momento giusto. È il momento giusto. Il coronamento di un percorso di crescita e maturità di un talento diventato grande: “Mi reputo fortunato, ho realizzato il sogno che avevo da bambino. Ho fatto tanti sacrifici per arrivare dove sono”. In quello scorcio di lago che si nasconde tra la curva e la tribuna del Sinigaglia riecheggia il suo nome: “Ha segnato per noi, Si mo ne Ver di”. È tempo di andare, la chiacchierata è finita. “Ah Simone, aspetta. Sei destro o mancino?”. “Bella domanda (ride ndr). Anche se nessuno ci crede, ho dei video di quando avevo 2 anni in cui calciavo solo con il piede sinistro”. Mistero risolto. Nel dubbio, la prossima punizione la batterà lui. Simone si è conosciuto un po’ di più. Una consapevolezza diversa, una leggerezza diversa. La bellezza del talento. Di destro o di sinistro, Simone Verdi.
In attesa dell'ufficialità di Bocchetti in panchina, Akpa Akpro è atteso per le visite mediche…
Il giocatore inizierà ad allenarsi con la squadra. A seguire verrà presa la decisione di…
Le parole del Commissario Tecnico su Federico Chiesa e il momento del Napoli di Antonio…
Mattinata di visite mediche al JMedical per Koopmeiners dopo l'infortunio subito nella sfida contro il…
Dopo la sconfitta contro la Juventus, il Monza ha deciso di accelerare per Salvatore Bocchetti:…
Nuovo ruolo per l'ex Roma Lina Souloukou, che diventa il nuovo amministratore delegato del Nottingham…