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Vent’anni fa ci lasciava Helenio Herrera, l’architetto della Grande Inter

Vent’anni fa ci lasciava Helenio Herrera, il “Mago”. L’uomo dei proclami, negli spogliatoi e nelle dichiarazioni pubbliche. Si sarebbe divertito tanto oggi, nell’era dei social e delle conferenze stampa, con la sua dialettica spinta e uno stile spesso corrosivo e caustico, con battute taglienti e al veleno che hanno fatto la storia. Ma guai a considerare Herrera un semplice allenatore-comunicatore ante litteram. Herrera ha cambiato il football in parecchi aspetti. Arrivato in Italia come cantore e profeta del calcio offensivo dopo gli anni al Barcellona, ha poi col tempo interpretato come e meglio degli altri le idee calcistiche del nostro paese, forgiando con le proprie sapienti mani una squadra che ha fatto la storia. La Grande Inter, che nasce e diventa mito, quella della mitica filastrocca “Sarti, Burgnich, Facchetti…” e delle due Coppe Campioni di fila messe in bacheca nel 1964 e nel 1965 è tutta sua. Pragmatico all’eccesso il suo gioco, ma anche bello da vedere in determinati aspetti, fatto di azioni repentine e verticalizzazioni immediate, col primo terzino fluidificante della storia (Giacinto Facchetti appunto) e contropiedi vertiginosi.

La parola d’ordine era “palla lunga e pedalare”, con un’attenzione maniacale ai particolari e un terrore di sbilanciarsi, a volte, ai limiti dell’inimmaginabile. In attacco la missione era quella di puntare solo sulle occasioni estremamente favorevoli e così arrivarono tante vittorie strepitose, basti pensare allo scalpo del Real Madrid, piegato da una doppietta di Sandro Mazzola al “Prater” di Vienna in quella fantastica finale del 1964 contro Di Stefano, Puskas e compagni. Si può immaginare come al tempo la critica fosse poco clemente con quest’atteggiamento sì rinunciatario, ma in grado di riempire le bacheche del calcio italiano di tutte le coppe più prestigiose d’Europa e del mondo, assieme al Milan di Rocco. I benpensanti del football storcevano il naso quando vedevano scendere in campo una compagine italiana, maledicendo tutto il possibile nel momento in cui, magari nell’unico contropiede della partita, riuscivano a portare a casa gare in cui sembravano aver subito la pressione avversaria e in cui parevano dover capitolare da un istante all’altro.

Di fatto quell’Inter divenne leggenda, insieme al suo allenatore, un uomo cosmopolita e dai mille influssi culturali. Maniacale nella preparazione delle partite, viaggiava a volte di notte per andare a vedere le avversarie in Coppa Campioni, per tracciare dei profili tecnici di ognuno dei calciatori. Si sarebbe divertito tanto al tempo di WyScout.

Redazione

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