È scritto: se i papà di oggi raccontano Maniero e Recoba, quelli di domani parleranno dei ragazzi di Paolo Zanetti. Venezia-Roma 3-2, nuove lettere della storia. Basta orecchiare qualche battuta sugli spalti, per capire la dimensione del capolavoro: “Ma qua non c’avete un maxischermo per rivedere i gol?”, si domanda uno dei pur numerosi tifosi giallorossi giunti in laguna. Risposta, con un sorriso: “Questo stadio cinque anni fa faceva la Serie D. È già un miracolo così”.
Al Penzo c’è un’atmosfera come non si vedeva da vent’anni. La sciarpata delle curve è un turbine, nell’occhio del ciclone c’è Mattia Caldara che irrompe sulla punizione di Aramu e la sblocca dopo una manciata di secondi. Boom, esplosione numero uno. Quando l’ingenuità di Haps da rigore diventa fuorigioco riecheggia il battle theme del Gladiatore, che tempo fa qui animava ogni prepartita: sarà così, strenua resistenza. Ma con personalità. Mazzocchi annulla El Sharaawy, Busio inceppa Pellegrini, Aramu irride Karsdorp. Eresie.
E soprattutto Zanetti dà una lezione a Mourinho: il Venezia, pur nei suoi limiti tecnici, è tra le squadre meglio messe in campo della Serie A. Busio, un 2002, a impostare da libero, l’ex Lazio Kiyine jolly fra le linee. C’è tutta la preparazione di chi è uscito dalla gavetta: giovanili della Reggiana, Sudtirol in C, poi Ascoli e Venezia, dove da vicentino si presentò in dialetto e trovò il feeling in un batter d’occhio. Oggi è un allenatore moderno, compiuto, cercato già in estate da Udinese e Samp eppure rimasto qui, perché tirava aria di grandi progetti e grandi imprese sin dalla notte della promozione contro il Cittadella, bagnata dai tuffi in canale. Nessuno avrebbe potuto immaginare come.
Perché la Roma è nervosa, arrembante, ma insicura nelle retrovie. Quaranta minuti abbondanti di illusione clamorosa, perfino la palla gol del 2-0 sprecata due volte. Poi ecco Shomurodov-Abraham, il mortifero uno-due che demolisce le barricate in arancioneroverdi in un amen. Al rientro negli spogliatoi è già ristabilita la legge del più forte. Soltanto impressioni. L’immagine clou è il piglio dei due strateghi in panchina: Zanetti sempre in piedi, indemoniato; Mou fino all’87’ non si alza dalla poltroncina – “Strano, di solito si muove in continuazione”, dicono gli osservatori giallorossi –, l’altra illusione, di avere la partita sotto controllo.
Succede questo. La Roma è un po’ piaciona, flirta col terzo gol ma alla lunga il Venezia, dalla Serie B con furore, arriva a comandare il gioco. Ci vuole il contributo di tutti: Kiyine giganteggia in mezzo al campo, Caldara sceglie il giorno migliore per prendersi la sua nuova squadra e il rigore che Aramu trasforma. Il 10 sotto la curva, che impazzisce. E ancora di più quando entra capitan Modolo, il veterano al debutto: dai dilettanti ha accompagnato il Venezia fin lassù, così in alto non poteva immaginare neanche lui. Un lampo nel cielo e sul campo del Penzo: è Okereke che si invola e danza col pallone.
Venezia tre Roma due. Saltano gli schemi. Romero si immola, Rui Patricio fa ancora meglio e nega a Modolo il pomeriggio della vita, che già così è tanta roba. Traversa lui, traversa Henry. Niente ha più senso. Perfino i cartelloni pubblicitari recitano: “Impresa”. E se contro il Bodo Glimt Mourinho ha scaricato la colpa sulle seconde linee, in laguna è affondato con i titolari: il triplice fischio arriva coi ragazzi di Zanetti in attacco. Non è un caso, come nulla in questa vittoria studiata.
Gente in pianti, scene mai viste da generazioni. Quando gli altoparlanti del Penzo rispolverano i Pitura Freska, la festa diventa in veneziano stretto. Anche se ancor più continua a rimbombare Heroes di David Bowie, presagio felice durante l’intervallo che tutto cambiò: “We can be heroes, just for one day”.
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